VIVERE LO SPIRITO DELLA WILDERNESS

La maggior parte di noi, amanti della natura, la natura non la vive; bensì la visita. Non è facile spiegare il sentimento che trasforma un’esperienza nella natura selvaggia in qualcosa che non sia tematicamente scientifica, come succede quasi sempre agli ornitologi o agli appassionati di botanica (ma anche a gran parte dei biologi della selvaggina e della fauna in genere) o a chi considera il mondo naturale come una lavagna per appunti didattici e di conoscenze (tutto diviene scopo di educazione, e noi finiamo per assumere la semplice funzione di scolari o di maestri), o per soddisfazioni epiche (ne godono la maggior parte degli alpinisti ed altri praticanti attività avventurose) o per ricreazione fisica (quando il fitness e la salute o il benessere sono il vero nostro motivo). Così, però, si è ben lontani dallo spirito della wilderness. Cercare lo scenario naturale solo come una cosa od un luogo per soddisfare propri interessi o appagare desideri egocentrici è lungi da uno spirito wilderness. Quando, invece, veramente, si vive lo spirito della wilderness? E chi si avvicina veramente alla comprensione del selvatico che è in noi, che è rimasto in noi perché parte inscindibile del nostro ancestrale DNA? Per assurdo che possa sembrare, è spesso l’individuo privo di cultura che vi riesce, o chi ha la capacità di mettere da parte la sua base di conoscenze e si compenetra nel mondo della natura trasformandosi in essere membro e partecipe del tutto, spogliandosi del substrato che ci ha dato la civiltà, una scorza di conoscenze e di bisogni che sono spesso non indispensabili. Si capta più spesso l’esistenza di questo spirito in pastori o montanari in genere, quando non in cacciatori o pescatori, cioè individui che vivono la natura non in modo virtuale come noi naturalisti ma ritornandovi “antichi”. Difatti, può ancora considerarsi naturale un mondo soggiogato all’uomo per i suoi bisogni da manuale? La Natura trasformata in orto, addomesticata, in tutte le sue forme, finanche nella sua funzione (se così la possiamo definire) di mantenersi preservata per diretto impegno dell’uomo? Ma la Natura esiste e vive di per sé, e solamente ritornando col nostro io a quello stato che la civiltà ha soffocato dentro di noi può scoprirsi lo spirito della wilderness, sentirlo e viverlo. Si intuisce più uno stato di wilderness durante l’emozione di un momento, quando tutte le nostre cognizioni si annullano di fronte ad eventi che ci impediscono la riflessione nozionistica che non in tante pagine di saggi, ed ore ed ore di lezioni di cultura naturalistica o filosofica di cui sono pieni i libri, si sentono in sale di convegni o si leggono in siti Internet. Allora sì, diventiamo parte integrante di ciò che vediamo o viviamo, che può essere anche solamente l’improvviso scroscio di un temporale che nella foresta ci costringe a rintanarci sotto una roccia e sentiamo allora il mondo attorno a noi ritornare primordiale e noi farne parte con quel semplice istintivo atto di difesa. Allora sì, si coglie il vero spirito della natura selvaggia, se ne capisce il diritto a che essa possa continuare a perpetrarsi almeno in qualche luogo, il diritto a noi di poterne fare parte, non di esserne solo visitatori. E ciò succede perché in quel momento noi diventiamo parte di quel tutto e non più estranei al mondo naturale. Questo ha avuto dentro, ha sentito nel suo intimo, l’autore di queste foto di Gatto selvatico sorpreso nel freddo di una bufera di neve come un fantasma rivelatosigli nel turbinio della tormenta; in quel momento, lungi da lui ogni riflessione scientifica o filosofica. Solo il caso ha permesso che egli potesse fissare sulla pellicola quella visione che aveva davanti, e che oggi noi possiamo virtualmente vivere, sorvolando sulla tecnica ed apprezzandone invece la poesia. Egli ha così potuto cogliere lo spirito del luogo, lo spirito della Wilderness che in quel momento si è trovato vivere, e che ora ci trasmette. L’autore di queste foto, rimaste fino ad oggi assolutamente inedite, è Gerardo “Lillino” Finamore, ex Guardaparco (in pensione) del Parco Nazionale d’Abruzzo. Egli le ha scattato nel lontano dicembre del 1987, per una pura coincidenza. Un momento che egli ricorda ancora vivissimo. Uno dei tanti momenti della sua vita di sorvegliante delle montagne e foreste del suo paese, e soprattutto della fauna che le abita e della quale è divenuto profondo conoscitore. Egli vive tra Teramo e Pescasseroli, dove è nato e dove è ritornato alla sua giovanile professione di scalpellino, un’arte che in Abruzzo ha profonde radici culturali ben evidenti in tutte le antiche abitazioni di quella splendida Regione. Continua ad interessarsi alla difesa della sua terra ed in particolare dell’Orso bruno marsicano; ha partecipato ad una ricerca sul Lupo nel Parco Nazionale del Gran Sasso e guida escursioni per la Pro Natura di Teramo.

di FRANCO ZUNINO