Una lucida critica verso un fenomeno di massa sempre più negativo per le aree protette, eppure ritenuto da tutti “politicamente corretto” parlarne sempre bene, con lo sguardo volto solo all’economia dei Parchi e mai all’impatto che il fenomeno quasi sempre ha o finisce per avere sul bene Natura che gli stessi Parchi hanno mandato di conservare e tramandare alle generazioni future, mascherato dietro il mistificatorio assurto di una supposta, e il più delle volte inesistente, eco-compatibilità.

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Un tempo era appannaggio di pochi intellettuali, di esploratori o di arditi avventurieri. Successivamente il fenomeno ha coinvolto, a partire dal Nord America, larghi strati della popolazione, contaminando pochi decenni dopo l’intero Occidente e finanche l’Oceania.

L’avvento della piccola borghesia e l’aumento delle disponibilità finanziarie ha facilitato la pratica di crearsi un periodo di svago anche grazie alle ferie retribuite. Divenendo fenomeno di massa il turismo ha creato subito un grave impatto ambientale (diretto e indiretto con la costruzione di seconde case, residence, ecc.). Se nella fase iniziale le località prese d’assalto erano relegate in zone non molto distanti da dove si viveva, successivamente, grazie al potenziamento dei mezzi di trasporto e all’organizzazione dei viaggi, un numero crescente di persone ha cominciato a spostarsi poi in ogni luogo del pianeta, attratte dai richiami, culturali, naturalistici, ricreativi. Anche le zone del Terzo Mondo oggi subiscono l’invasione e la conseguente costruzione irrazionale e selvaggia delle strutture di ricezione. Da un fenomeno locale e relativamente ristretto, si è passati ad un fenomeno ampio e di massa.

Per contrapporsi al dilagare del turismo consumistico è nato poi il cosiddetto “ecoturismo”: il viaggio a misura di natura! Regole di base sono: fine educativo, non alterazione degli habitat frequentati, introito economico per le popolazioni locali in alternativa ad attività di sfruttamento della natura. Ma l’ecoturismo ha in sé il germe della distruzione ambientale: la massa. Divenuto, infatti, anch’esso fenomeno di massa, rappresenta paradossalmente un pericolo preoccupante per gli habitat naturali. Milioni di “ecoturisti” che solcano i sentieri delle Alpi, dei parchi nazionali e delle riserve; orde barbare che setacciano le foreste tropicali, le vette nepalesi o le coste australiane. Il turismo “verde”, proprio per immergersi nei luoghi più belli, prende spesso a riferimento le aree protette causando in quei luoghi un impatto estremamente negativo. L’ecoturismo allora assume, come il turismo classico, una forma devastante e incontrollabile.

Allo stato attuale delle cose, il turismo di massa rappresenta una delle forme a maggior impatto ambientale (si pensi, per esempio, alla pratica dello sci). E’ una pura illusione credere di poterlo contenere entro certi limiti. Il turismo una volta esploso è inarrestabile e si comporta come un cancro. Avviene dunque la prostituzione della natura “venduta” al turismo “ecocompatibile” con la scusa che ciò è il prezzo da pagare per “tutelare” un luogo (il mercato dell’ecologia). Ma ci chiediamo: da chi lo tuteliamo se lo vendiamo ad attività che, essendo di massa, compatibili non lo sono affatto? Scrisse John Muir con grande profondità di spirito: “Pare strano che i turisti in visita a Yosemite siano così poco commossi da tanta inusitata grandiosità, quasi avessero gli occhi bendati e le orecchie tappate. La maggior parte di quelli che ho incontrato ieri guardavano come chi è del tutto inconsapevole di ciò che gli accade intorno, mentre le rocce stesse nella loro sublime bellezza fremevano agli accenti della possente congregazione di acque sonanti che scendono dai monti e qui si raccolgono con musiche che potrebbero cavare gli angeli dal paradiso (…) Solamente l’andare da soli, nel silenzio, senza bagaglio, permette di entrare davvero nella natura selvaggia. Tutti gli altri viaggi non sono che polvere, hotel, valigie e chiacchiere”. Queste profonde e semplici parole ci ricordano quali dovrebbero essere le qualità di un turismo e di un turista oculato: la discrezione, la spiritualità, la semplicità, il senso del luogo, la riflessione. Se a queste qualità individuali sommiamo il non addomesticamento dei luoghi, inevitabilmente si determinerà una bassissima densità di visitatori ed un’altissima qualità del “viaggio”. Tra l’altro, occorre ricordare, che ciò che non è espressamente favorito e pubblicizzato non causa fenomeni di massa.

Aldo Lepold comprese subito il grande pericolo del turismo di massa e dello sviluppo tecnologico quando scrisse che: “Lo svago divenne un problema preciso ai tempi del primo dei Roosevelt, quando le linee ferroviarie, che avevano escluso la campagna dalla città, cominciarono a trasportare masse di cittadini nelle campagne. Ci si accorse che più gente ci andava più piccola diventava la possibilità individuale di godere di pace, solitudine, natura e bei panorami, e sempre più lungo il tragitto necessario.

L’automobile ha esteso questa spiacevole situazione, in precedenza di lieve entità e a carattere locale, fino ai limiti estremi delle strade praticabili, rendendo scarso qualcosa che prima abbondava. Ma questo qualcosa si deve comunque trovare, e allora, come ioni proiettati dal sole, i turisti della domenica si irradiano da ogni città, generando calore e attrito ogni fine settimana. L’industria del turismo fornisce vitto e alloggio per attrarre sempre più ioni, sempre più in fretta e sempre più lontano … Le imprese costruiscono strade nell’entroterra, quindi acquistano altre terre per assorbire il flusso vacanziero, accelerato dalle strade appena costruite. L’industria dell’accessorio spiana la strada verso la natura vergine; la conoscenza dei boschi diventa l’arte di usare tutti i vari arnesi disponibili … per chi cerca qualcosa di più, questo genere di svago all’aria aperta è diventato un processo autodistruttivo, in cui si cerca senza mai veramente trovare alcunché: una delle grandi frustrazioni della società meccanizzata”.

di MARIO SPINETTI