QUEL CHE RESTA DELL’ORSO BRUNO

Questo articolo è stato scritto circa dieci anni fa. Se viene pubblicato oggi è perché quello che l’autore scrisse è più che mai attuale, dimostrando una preveggenza che avrebbero dovuto avere le autorità, le quali hanno invece sempre negato il problema e la realtà dei fatti.

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“Vorremmo che tutti voi sentiste la tristezza che muove oggi questi animali, la perdita dell’antica fierezza, il cercarsi e contarsi affannoso tra i boschi per poter appagare i bisogni essenziali, i motivi stessi dell’esistenza, una ricerca disperata, infruttuosa, tra individui di una specie che va scomparendo, preludio ad una malinconica ed eterna solitudine. Ascoltate questo richiamo e seguite le sorti di questo animale, la cui sopravvivenza è radice di una Natura selvaggia ma anche dignitosa e giusta; una Natura in cui l’uomo può ancora gustare i frutti del conoscere non programmato, dell’avventura, nella dolcezza dell’equilibrio biologico, bisogni antichi ma mai spenti in noi. (Bruno La Pietra, 1985).

Ritengo necessario aprire con questo paragrafo dedicato all’orso bruno con parole soffuse di melanconico pessimismo, per evidenziare il grave stato in cui versa la specie in molti paesi in cui è ancora presente.

In Europa, nell’era preistorica, fatte le dovute eccezioni, l’area occidentale era praticamente occupata per intero dall’orso bruno, mentre attualmente la sua presenza è concentrata soprattutto nella parte orientale del continente. In quella occidentale, infatti, oggi sopravvive con relitte popolazioni isolate ed a bassa densità.

Per quanto attiene alla popolazione italiana la situazione è drammatica. In Italia infatti l’orso bruno sopravvive con due popolazioni nettamente isolate: una, quasi completamente estinta, vive in Trentino Alto Adige (orso bruno delle Alpi) e un’altra, più consistente ma altrettanto in gravissimo pericolo, in Abruzzo e località limitrofe (orso bruno marsicano). Negli ultimi decenni la specie è sporadicamente segnalata anche nelle Alpi orientali, con particolare riferimento al Tarvisiano (zone di confine con l’Austria), con una apparente lenta ricolonizzazione di esemplari provenienti dalla Slovenia, rioccupando così aree già storicamente abitate dall’orso bruno. La popolazione trentina, localizzata nella parte occidentale della regione in corrispondenza del gruppo montuoso del Brenta (territorio del Parco Naturale Adamello-Brenta), ammonta, secondo le ultime stime, a 4-6 individui, quindi nettamente al di sotto del potenziale minimo di ripresa della popolazione e in netto regresso. Questo nucleo, ultimo superstite della nutrita popolazione che un tempo abitava l’intero arco alpino, può considerarsi quasi estinto, salvo che non si provveda ad una operazione di reintroduzione e ad un’assoluta tutela degli habitat in cui la specie vive ancora. La popolazione abruzzese (Appennino centrale, includendo oltre all’Abruzzo anche le regioni limitrofe di Lazio e Molise), considerata dagli studiosi una particolare sottospecie dell’Ursus arctos, conta ancora una quarantina forse una cinquantina di individui (supposizione personale), ma la consistenza effettiva della popolazione è controversa; alcune stime infatti parlano di 40-80 esemplari, mentre Boscagli (1988), riferendosi all’intera popolazione appenninica, enumera 70-80 individui. Altre fonti arrivano a 100 esemplari (Sulli, 1995) o ad 80-100 esemplari (Roth, 1995). Localizzati prevalentemente nell’area del Parco Nazionale d’Abruzzo e in zone limitrofe (salvo pochi esemplari individuati anche a notevole distanza) la popolazione è comunque a forte rischio e in sicuro regresso. Dal 1970 agli anni novanta sono stati rinvenuti morti, per varie cause, forse un centinaio di orsi (Zunino, 1997 comunicazione personale – bracconaggio, incidenti di varia natura come gli investimenti, occasionale avvelenamento con bocconi, ecc.). Tutto ciò unitamente ad una dispersione della popolazione per le carenze alimentari e, negli ultimi anni, per il gravissimo disturbo ambientale causato dal turismo di massa che affligge anche i recessi più reconditi abitati dal plantigrado (escursionismo, sci di fondo, gitanti in genere, ecc.).

In effetti l’eccessiva presenza turistica, non solo altera integralmente i cicli vitali della specie, ma favorisce una costante dispersione degli individui che, unitamente ad altri fattori negativi, vagano nella disperata ricerca di luoghi tranquilli e remoti. Questo determina o favorisce tutta una serie di gravissime situazioni (dispendio energetico, dispersione della popolazione, maggiore probabilità di mortalità per causa umana, frazionamento ed isolamento, fino al raggiungimento del collasso dei contingenti con conseguente agonia e scomparsa della specie). Occorre evidenziare che la ricolonizzazione di aree nuove o già storicamente abitate dalla specie è un evento positivo quando il fenomeno è il risultato dell’espansione di una popolazione in forte crescita ed in ottimo status ecologico, non lo è quando è quasi sempre il frutto di un “fuga” da una località all’altra in cerca di tranquillità e di alimento. Questa è la situazione che si registra nell’Appennino centrale.

Anche l’eccessiva presenza del cinghiale nell’areale dell’orso a causa della forte concorrenza alimentare sembra determinare un impatto deleterio sulla popolazione locale del plantigrado, così come da considerare evento negativo per l’orso è anche la diminuzione della pastorizia.

Purtroppo i “manager” che gestiscono le aree protette o spesso gli enti regionali e governativi, non si curano affatto, salvo sporadiche eccezioni, di attuare realmente e concretamente una seria politica ambientale che tuteli in primis le esigenze della natura in generale. Oggi nelle aree protette italiane e di molti altri paesi europei si parla sempre più della loro resa economica (“la produttività economica dei parchi”), della loro immagine turistica (l’ecoturismo!), delle loro potenzialità di accogliere al meglio i visitatori, ma quasi mai del loro status selvaggio e dei reali interessi della fauna. Questo modo di fare, per quanto attiene all’orso bruno, sta indirettamente e definitivamente compromettendo l’esistenza degli ultimi esemplari della specie ancora rimasti in Italia e in altri particolari distretti europei (p.e. Pirenei francesi). Se l’operato di un bracconiere viene giustamente additato come fatto gravissimo e negativo, il pernicioso e subdolo operato degli enti preposti al governo dei territori protetti, passa del tutto inosservato, anzi spesse volte l’opinione pubblica, ignara delle reali situazioni, plaude loro inconsapevolmente. Occorre ricordare che nell’area del Parco d’Abruzzo, unitamente alla fascia di protezione esterna, la popolazione si sarebbe ridotta di oltre il 50% dalla stima di almeno 70/100 orsi fatta nei primi anni settanta (Zunino & Herrero, 1972 – Zunino, 1976, 1984, 1984, comunicazioni personali). Altre fonti, tuttavia, sempre nell’area del Parco con la fascia esterna di protezione (ca. 1000 kmq), danno una visione più ottimistica riportando 45-80 esemplari (Sulli, 1995). E’ bene comunque evidenziare l’importanza fondamentale che ha avuto ed ha il Parco Nazionale d’Abruzzo per la salvaguardia dell’orso marsicano; senza la nascita di questa area protetta e senza la legge nazionale del ‘39 che proibiva la caccia al plantigrado, oggi questa specie probabilmente non sarebbe più presente sull’Appennino.

Sta nella sensibilità di ognuno di noi capire che per una reale conservazione dell’orso bruno è necessario che l’uomo si faccia da parte, altrimenti l’orso sarà una delle tante specie che hanno popolato il pianeta Terra e che l’uomo ha voluto eliminare.

Ironicamente può dirsi che la fine dell’orso bruno fu iniziata dai cacciatori e dai bracconieri, continuata dall’antropizzazione del territorio (sottrazione di habitat) ed è stata “conclusa” dai “protezionisti” e da molti gestori dei territori protetti con la loro politica della redditività dei parchi e con lo sviluppo del turismo nelle aree dell’orso (“la protezione spettacolo”). Una storia davvero triste! Si continua a disquisire sulle tecniche di censimento, sulla fisiologia della specie, sulle ricerche radiotelemetriche e genetiche, sugli aspetti bio-etologici, si inalberano simposi e convegni, si enumerano articoli e pubblicazioni, ma intanto l’orso bruno diminuisce, perché, semplicemente, le “vere” e sostanziali iniziative a favore del plantigrado sarebbero sicuramente impopolari e antieconomiche per l’uomo. Diranno che occorre fare “questo e quello”, diranno che coloro che si oppongono alla superficiale politica conservazionistica sono dei “paranoici” o gli pseudofilosofi da tavolino, accuseranno di falsità coloro che mettono in dubbio le affermazioni del “potere ecologico”, e intanto la natura e l’orso scompaiono.

Scrisse il prof. Aurelio Peccei: “Non abbiamo bisogno di più conoscenze, di più tecnologie, di più strumenti per impedire che le spiagge siano sporche, che l’ultimo Lupo d’Abruzzo non muoia. Occorre, però la volontà di risolvere questi problemi”.

di MARIO SPINETTI