Si fa seguito alle recenti PEC della Società Italiana per la Storia della Fauna, a firma del Presidente Corradino Guacci, relative a quanto in oggetto, per esprime condivisione ma anche dubbi in merito a quanto viene richiesto di fare da parte delle autorità preposte alla difesa dell’Orso bruno marsicano.
Innanzi tutto si ribadisce, per l’ennesima volta, che per salvare quest’animale e mettere in sicurezza la sua esigua popolazione, bisognerebbe andare alla fonte dei tanti, troppi, problemi createsi negli anni. Problemi riassumibili nella semplice constatazione che ormai gli orsi stanno sempre più abbandonando il suo storico home range, delimitato dal Parco Nazionale d’Abruzzo e dalla sua ristretta area circostante (dove la capacità di sostentamento è più alta di quanto non facciano credere molti studiosi dell’ultima generazione: e prova ne è il fatto che così è stato per centinaia di anni!).
Abbandono causato da due semplici fattori, il primo ormai risalente a molti decenni or sono, il secondo acuitosi negli ultimi: disturbo da turismo e cessazione di coltivazioni e pastorizia.
Ma non solo, abbandono che è la causa primaria di tante uccisioni e/o morti per incidenti che si ritiene inutile qui rivangare; ragion per cui spesso la responsabilità indiretta non è sempre di chi,
per proprie ragioni (non sempre legittime, ma spesso compremsibili) o motivazioni, ne ha causato la morte.
Ora, per risolvere il suddetto problema primario (l’abbandono dell’area protetta), esistono solo cinque SEMPLICI, PRATICHE e FACILI soluzioni:
Limitazioni al turismo in tutte le aree delicate per la vita dell’orso (riserve integrali, blocco ai visitatori, almeno stagionali) e chiusura e smantellamento dei rifugi in aree delicate (Iorio e La Cicerana in primis);
– Coltivazioni a perdere in siti strategici ai limiti dell’arca protetta o al suo interno (nel caso delle Valli del Sangro e Giovenco), alcune da proteggersi da “Recinti Finamore”; Sostegno al mantenimento della pastorizia ovina almeno in alcuni pascoli strategici, a costo di provvedervi con “greggi pubblici” (pecore acquistate e gestite dallo stesso Parco);
Abbattimento casuale e periodico di cervi e cinghiali nelle aree interne del Parco Nazionale, con abbandono in loco delle carcasse; Riduzione del numero dei lupi presenti nell’area di habitat dell’orso marsicano, essendo molto probabile, se non certo, che essi predino i cuccioli neonati, specie nel primo periodo infantile (forse la prima causa di mortalità, mai “registrata” in quanto, per ovvie ragioni, impossibile da registrarsi: ma indirettamente dimostrata dalle storiche predazioni da parte dei cani custodi delle greggi!).
Infine, tornando all’oggetto relativo alla cosiddetta “banca del seme” proposta dalla suddetta Società, è certamente un’operazione da farsi, e al più presto, ma solo alla condizione che non si
catturino appositamente individui per fare il prelevamento, che certamente non si ritiene possa essere privo di effetti invasivi, quindi a rischio di mortalità degli individui manipolati. Ovvero, da
farsi solo nel caso di catture a scopo di studio (lo stretto necessario) o di mortalità. Un urgenza che se è IMPORTANTE, è però solo secondaria, essendo PRIMARIA la salvaguardia degli individui
che ancora formano la popolazione originaria. Salvaguardia che si ottiene operando primariamente affinché RIENTRINO nel loro storico home range dove hanno sempre goduto di quella protezione e lodevole rispetto da parte delle popolazioni locali, che solo molto raramente hanno agito illegalmente a danno dell’orso, e ancora più raramente sono stati oggetto di uccisioni indirette e involontarie (investimenti da parte di automobili o treni).
In quanto alla cattura dei due cuccioli di “Amarena”, la si sconsiglia, in quanto essi sono ormai già in grado di alimentarsi da soli, ed anche di trovarsi la tana in cui andare a svernare (che è
un istinto naturale innato per ogni specie che utilizzi le tane per riprodursi, nascondersi o svernare).
Con distinti saluti.
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