Se c’è una montagna in centro Italia resa famosa dalla sua selvaggità, questa è la Majella, mater per il popolo abruzzese; ma oggi una Majella mater sempre più una prostituita al turismo! E, peggio ancora, questo succede da quando è stata, si fa per dire, “protetta” con un Parco Nazionale!
Chi cinquant’anni or sono avesse frequentato l’allora selvaggio ed integro Vallone di Fara San Martino, quando era ancora lungi la possibilità di un Parco Nazionale, avrebbe potuto fare una suggestiva esperienza che oggi non è più possibile, un escursione in una natura assolutamente integra, affascinante proprio per la sua asprezza. Iniziando dall’accesso al vallone mediante una quasi inverosimile stretta forra che consentiva il passaggio di una sola persona alla volta; una porta di ingresso che era il suo fascino maggiore; una porta di ingresso che un Parco Nazionale avrebbe dovuto avere il compito di preservare per sempre nella sua antichissima integrità; ma, purtroppo per i manager e i politici locali, era anche una “porta” che impediva l’accesso a ruspe e mezzi meccanici, proprio quei mezzi che i politici amano far muovere quando si tratta di spendere soldi per progetti quasi sempre più o meno inutili: perché i soldi non girano se non girano i le ruote e i cingoli dei mezzi meccanici!
Ecco, è quella strettoia la causa di tutto quello che è poi successo, con l’ultimo strascico di oggi. Era già da qualche tempo che grazie alla lungimiranza di altri amministratori pubblici si era provveduto ad istituire la Riserva Natura del Vallone di Fara San Martino. Poi si giunse infine al grande Parco Nazionale esteso a tutta la montagna, ed il Parco Nazionale divenne fin da subito il grimaldello per progetti e relativi finanziamenti pubblici (altrimenti, a che pro istituire un Parco, secondo la mentalità dei politici!?). E allora ecco che bisogna inventarsi delle motivazioni, ed una delle prime fu proprio quella di “valorizzare” i ruderi di un antico eremo che le intemperie ed il tempo avevano seppellito sotto montagne di detriti. Perché ovviamente la bellezza selvaggia del vallone, non facendo girare soldi, per loro non era abbastanza “valorizzante”! Ecco, tutto ebbe inizio da lì.
Successe che qualche bell’anima pensò che riportare alla luce i ruderi dell’antico eremo di San Martino, all’interno della valle, poteva essere un buon motivo; ovviamente facendo finta di ignorare che quei ruderi erano stati nei secoli sommersi da rovinose alluvioni, e che presumibilmente la cosa si sarebbe prima o poi ripetuta anche in futuro. Ovviamente con la speranza che ciò non debba succedere prima di un bel po’ di anni, il progetto fu approvato ed i lavori di recupero iniziati. Ma non già provvedendo a portare sul luogo una piccola ruspa con un elicottero, affinché non si dovesse fare scempio della strettoia e del sentiero di accesso ai ruderi. E allora bisognava allargarla, quella benedetta “porta”: e così fu fatto, intaccando la sua integra bellezza e facendo scempio del fascino che possedeva. E fu quello il primo danno commesso. Ma non solo, l’eremo è posto a qualche distanza da quella porta, allora bisogna anche costruire una pista o strada per giungervi, e quindi anche la strada fu realizzata spazzando via l’antica mulattiera modellata dalla natura. L’eremo fu poi riportato alla luce, adattato al turismo e al turismo fatto conoscere. Sembrava che ciò fosse sufficiente, e invece no, oggi si scopre (luttuosamente, purtroppo, come si dirà in seguito!) che la zona è pericolosa perché dall’alto delle pareti rupestri possono staccarsi massi micidiali, e allora ecco scattare l’altra parolina magica per i progettisti e gestori dei Parchi: “mettere in sicurezza”! E via ad altre opere e stanziamenti di fondi. E dato che, come dice il proverbio, l’appetito vien mangiando, perché non provvedere ad un sentiero attrezzato e facilitato lungo la pista che porta all’eremo? Quindi, migliorare l’itinerario che ha sostituito l’antica mulattiera, e realizzarvi anche una scalinata per facilitare la salita e, perché no, anche un corrimano lungo la stessa: ecco, è così che si addomestica la natura selvaggia, per prostituirla al Dio turismo!
Conclusione, oggi quell’un tempo affascinante luogo è stato se non rovinato, almeno svilito, banalizzato, addomesticato, reso quello che proprio i frati che costruirono il convento mai avrebbero voluto! E che forse neppure il loro Dio voleva, ma… il Dio turismo sì! “Sbancamenti per rendere più sicuro e agevole il percorso dei turisti”, hanno scritto alcuni amanti del luogo.
E questo per mettere “in sicurezza” i dirigenti del Parco, che dovettero (o dovranno?) andare a giudizio dopo l’avvenuta morte di una turista, colpita alla testa da un sasso staccatosi dalle alte pareti rupestri che caratterizzano tutta il vallone. Ma chi ha sbagliato non è stata la magistratura, bensì l’Ente Parco che ha voluto a tutti i costi rendere turistica una zona che avrebbe dovuto contare su un turismo sporadico e di qualità (magari a numero chiuso per rispetto alla solitudine del luogo, che è un valore di per sé!) e non di massa. Si è invece voluto la massa (perché i soldi stanno sempre dietro la quantità!): e allora che ne paghino lo scotto, moralmente quei funzionari a che a suo tempo vollero a tutti i costi rendere turistico l’antico eremo, anziché dire: questo luogo era “wilderness” per i frati e tale è rimasto per centinai o migliaia di anni, che tale continui a restare visto che proprio la sua selvaggità è la maggiore caratteristica della Majella! E invece no, “uno scempio di enormi proporzioni” hanno scritto. Ed il bello è che ora per evitare i guai di un giudizio le autorità del parco dovranno affrontarne un altro di giudizio: quello degli ambientalisti locali che hanno deciso di denunciarli per mancate autorizzazioni ai lavori!
Parlino per tutti queste accorate parole di protesta diffusa dalla chietina Lilli Mandara:
«Non ci sono parole, mi hanno detto di non parlare, ma ho visto piangere tante persone in questi giorni, per amore vero per la propria montagna, un legame corroborato da secoli di convivenza naturale». Lo dice da semplice cittadina, Adele, ma le sue parole pesano come macigni. Praticamente come buttare giù le colonne dei Fori imperiali per fare più spazio ai turisti ed evitare assembramenti, tuona il comitato locale “Tu Viva”. A questo punto anche il Corno Grande del Gran Sasso potrebbe essere capitozzato perché troppo impervio? Oppure potremmo farci direttamente delle scale mobili, se passa questo concetto».
Peccato che forse molti di questi oppositori di oggi, magari a suo tempo non criticarono quello che quindici anni fa si fece per “valorizzare” l’Eremo! Un fatto che sta alla radice del misfatto di oggi!
In America furono iniziative come queste durante decine di anni dopo la costituzione dei primi Parchi Nazionali, che finirono col portare al Wilderness Act, la legge che oggi sottrae ai manager dei Parchi i luoghi più selvaggi onde evitare che per favorire il turismo li rendano fruibili con strade, alberghi, rifugi, zone pic nic, ponti, panchine, funivie, dighe, muri, ecc. e trasferisce al Parlamento il potere di realizzare o meno queste opere!
Succederà mai in Italia? O continueranno i manager ad avere i pieni poteri su scelte che dovrebbero spettare al popolo?
O dovremo perennemente continuare a combattere anche contro chi in teoria dovrebbe stare dalla nostra parte (e di quella della Natura) ma che, acchiappato il potere, deve in qualche modo farlo rendere? E noi poi a godere di vittorie di Pirro, a latte ormai versato?
Ora non ci resta che sperare, ed auspicare, che una delle tante “bombe d’acqua” che ultimamente stanno colpendo la nostra bella Italia, provveda a rovesciarsi anche sul Vallone di Fara San Martino, affinché spazzi via tutto il moderno realizzato e ripristini lo stato del luogo, sperando che possa rispettare solo gli antichi ruderi dell’Eremo, questi sì degni di essere non tanto “valorizzati” quanto CONSERVATI nel loro antico scenario!
Murialdo, 10 Ottobre 2021 Franco Zunino
Segretario Generale AIW
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