FENOMENI NEGATIVI O ANCHE ARTEFICI DI BIODIVERSITA’?
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Come è stato più volte scritto, la prima cosa da fare sul problema degli incendi boschivi che ogni anno in estate, ma qualche volta anche in autunno ed inverno, diventano protagonisti del nostro Paese con eventi disastrosi che dal nord al sud coinvolgono tante località, anche con fatti luttuosi e danni a patrimoni immobiliari (specie quando ad essere colpite sono le zone rivierasche della Liguria o della Campania dove il patchwork di case, coltivazioni e boschi favorisce spesso questi eventi per disattenzione, incuria o anche per vero e proprio dolo), dovrebbe essere quello di sdrammatizzare. Specie nel caso di regioni o località scarsamente abitate e con ambienti boschivi di non grande valore economico (come è in molti casi della Liguria, Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia). La ragione? Molto semplice. L’incendio di boschi e/o campagne non è di per sé un danno all’ambiente, ma una componente dei processi ambientali. E’ ormai dimostrato come molti degli ecosistemi a prateria siano non già habitat di origine naturale, bensì conseguenza di incendi in epoche passate, non poche volte provocati dall’uomo (è stato scientificamente dimostrato come anche gran parte delle famose praterie nord-americane si devono ad incendi provocati dai nativi in epoche passate). Praticamente processi naturali per contenere l’espansione delle foreste, per creare situazioni ambientali necessarie a popolazioni animali legate alimentarmente a pascoli e praterie. E’ inoltre notorio e scientificamente dimostrato come alcune specie di piante possono riprodursi solo dopo il passaggio di incendi: esempio eclatante è quello delle Sequoie californiane, i cui pinoli non riescono ad aprirsi ed ad attecchire per far nascere nuove pianticelle, se il fuoco non agisce attraverso la combustione della lettiera del sottobosco. In fondo, l’antica usanza contadina e dei pastori di bruciare le stoppie od i pascoli per favorire la crescita di nuove pianticelle non è altro che un metodo naturale di fertilizzare il suolo e di trasformare gli habitat.
In pratica, il passaggio di un incendio quasi sempre, al di là del danno che può arrecare ad abitazioni o ad altre proprietà dall’uomo, o anche a patrimoni boschivi già avviati a maturazione per il taglio, rappresenta quasi sempre un cambiamento ambientale ed un incredibile fenomeno creativo e/o di mantenimento della biodiversità. Nulla favorisce l’estirpamento di certe specie invadenti ed il proliferare di altre pioniere quanto un incendio. La Liguria riviersaca è un esempio di come gli incendi, a meno che ripetuti in anni troppo vicini, abbiano trasformato aree rimboscate con specie forestali esotiche (la gran parte delle pinete di Pino marittimo, quasi sempre di scarsissimo valore, sia economico che biologico), dopo un incendio si sono trasformate in distese di originaria macchia mediterranea, quasi sempre estremamente varia e ricca di biodiversità, sia vegetale che animale.
Eclatante è anche l’esempio, da noi noto solo ad alcuni esperti, dello Zigolo di Kirtland (Dendroica kirtlandii), una specie di piccolo passeraceo nordamericano a grande rischio di estinzione, nidificante solo in alcune località dello Stato del Michigan, a sud dei Grandi Laghi. Questa specie riesce a sopravvivere solamente grazie agli incendi che periodicamente, per motivi naturali, bruciano alcuni angoli di foreste, permettendo il rinnovamento delle stesse, e quindi quella boscaglia di transizione formata da piccole piante che per un certo numero di anni diventa habitat primario ed unico per la nidificazione di quest’uccello bisognoso di piccoli alberi di pino per la dislocazione dei nidi e per le parate nuziali. Una scoperta che ha permesso ai biologici americani di favorire la crescita della popolazione proprio mediante incendi programmati, tanto da aver portato la popolazione di questa specie da 167 maschi censiti nel 1987 ad un totale oggi di 1.697 (per un totale di circa 3.000 individui).
E che dire della famosa serie di incendi che nell’estate ed autunno del 1997 per alcuni mesi bruciarono quasi interamente le foreste del Parco Nazionale dello Yellowstone? Un disastro ambientale fu creduto, ma che poi, allo stato dei fatti, si rilevò un grande evento benefico per la biodiviersità del Parco e per tutta la sua fauna, sia erbivora (per l’aumento della capacità trofica), sia carnivora (favorita dalla conseguente crescita delle popolazioni di erbivori).
Certo, si tratta di situazioni estreme, non certo paragonabili con quelle italiane almeno nella dimensione degli eventi e dei territori interessati; ma certamente confrontabili per gli effetti sì; certamente esemplificative sì. Certamente utili a sdrammatizzare se non tutti gli eventi, almeno gran parte di essi, quando non ripetitivi su stesse aree in anni ravvicinati o coinvolgenti vite umane o loro beni.
Che la lotta agli incendi boschivi vada fatta è indiscutibile (ben potente è lo stesso apparato americano, benché in quel Paese si operino regolarmente i cosiddetti incendi programmati come forma di gestione degli habitat), ma anche sdrammatizzando l’evento in sé per sé. E, soprattutto, partendo da una forte politica di prevenzione; prevenzione non da farsi con sistemi che non devono trasformarsi in pratiche più costose del valore dei patrimoni bruciati. Anzi, mirando proprio a preservare i patrimoni boschivi con una spesa che sia inferiore a quella che lo Stato ogni anno sostiene nella lotta agli incendi. Prevenendo da un lato, e non intervenendo dall’altro, quando la situazione ambientale non lo richieda; o non intervenendo con azioni che magari rischiano di trasformarsi in altri danni o in danni peggiori degli incendi (esempio, la realizzazione di strade antincendio, le quali quasi sempre non solo non favoriscono le opere di spegnimento, ma divengono esse stesse primari veicoli per gli incendi favorendo la presenza dell’uomo a zone prima inaccessibili o quasi).
In merito a questa politica già da qualche anno l’Associazione Italiana per la Wilderness ha stilato un proprio documento sul problema degli incendi, tutto volto alla prevenzione, con un punto fondamentale che è la più importante ed innovativa proposta mirata ad assicurare il non ripetitivo di quella grande massa di incendi che ogni anno devasta le stesse località e che sono segno di palesi interessi economici di alcuni individui che utilizzano il crimine dell’incendio doloso per assicurarsi interessi economici a spese di tutta la collettività e, soprattutto, a danno dell’ambiente. Non va infatti ignorato il fatto che nelle statistiche relative agli incendi boschivi che ogni anno falcidiano la penisola italiana, la stragrande maggioranza di essi colpisce sempre le stesse località, per cui la loro somma, sia anno per anno che attraverso la somma degli anni, altera in maniera vistosa la realtà dei fatti; realtà che poi ognuno può constatare quando a distanza di tempo di essi non si vede quasi più traccia, o ne restano tracce visibili solo agli occhi dell’esperto (anche in questo caso è il paesaggio rivierasco ligure ad insegnare). Quasi sempre questi incendi sono dolosamente provocati da contadini, pastori o altri abitanti locali con interessi egoistici spesso difficili anche da intuire (il caso dei raccoglitori di asparagi). Trasformare in tutori di queste località le persone che su di esse hanno mire economiche, come è il caso dei pastori, è forse la soluzione migliore per prevenire gli incendi che annualmente le percorrono. Ciò si può ottenere mediante la formale assegnazione ad essi di queste località quali territori da controllare affinché non vi scoppino incendi o provvedano a segnalarne il loro scoppio nel più breve tempo possibile o partecipino al loro spegnimento, in cambio di un contributo in danaro a fine stagione. Una spesa che allo Stato o alle Regioni, per alto che lo si voglia prevedere, sarà sempre di gran lunga inferiore alle spese che si dovrebbero sostenere per provvedere allo spegnimento degli incendi. Un metodo che ridurrebbe il fenomeno degli incendi di almeno il 50%.
DOCUMENTO AIW PER UNA STRATEGIA ANTINCENDIO
La conoscenza delle montagne e dei boschi, dei suoi frequentatori e di tutto il sistema economico che verte su di esse, induce a dedurre alcune considerazioni riguardo il numero sempre molto elevato di incendi che devastano i nostri boschi.
1) L’incendio è di per sé un fenomeno naturale che entro certi limiti non deve considerarsi un danno per l’ambiente, ma, caso mai, un evento ad esso integrato che può anche avere delle funzioni di miglioramento o riqualificazione di ambienti prima danneggiati dall’uomo (ad esempio, nel caso di rimboschimenti effettuati con specie esotiche ovvero alloctone).
2) Spesso gli incendi scoppiano con facilità proprio nelle zone in passato rimboschite con specie esotiche resinose, e particolarmente in aree a clima mediterraneo (es. la Liguria costiera).
3) L’Ambiente naturale percorso dagli incendi viene a volte ulteriormente manomesso operandovi rimboschimenti finalizzati ad un rapido sviluppo della vegetazione forestale, con la realizzazione di strade e stradelli di accesso, piantagione di specie esotiche (spesso messe a dimora con disposizioni geometriche); è difatti dimostrato da stati di fatto come molte zone percorse da incendi, qualora questi non si ripetino con regolarità tutti gli anni, si siano poi rimboschite naturalmente nel volgere di pochi anni grazie all’azione della vegetazione pioniera o della macchia originaria sviluppatesi in modo sorprendente proprio in conseguenza agli effetti del fuoco (trasformazione di sostanza organica).
4) Il punto di partenza del fuoco è quasi sempre nei pressi di strade, in genere carrozzabili, o di campi coltivati, e mai nei paraggi di zone integre, dove l’accesso per l’uomo è difficile.
5) Gli incendi in Italia sono in massima parte dolosi, gli altri si propagano accidentalmente per negligenza, imprudenza o imperizia: mozzicone di sigaretta accesa; fuoco che sfugge al controllo a chi incendia le stoppie d’estate o a chi col fuoco fa pulizia nei campi.
6) Responsabili degli incendi dolosi il più delle volte sono:
a) pastori, che mirano alla distruzione del bosco per avere poi la crescita di una vegetazione bassa e tenera, più adatta al pascolo degli animali;
b) raccoglitori di asparagi, che con l’incendio distruggono il bosco determinando come conseguenza la crescita di una vegetazione ricca di tale pianta;
c) piromani;
d) addetti ai servizi antincendio, i quali, a volte (è un ipotesi di molti, suffragata anche da fatti concreti, come si è verificato ad esempio in Sardegna ed all’Isola d’Elba, dove sono stati sorpresi ad appiccare il fuoco proprio coloro che erano reclutati stagionalmente allo spegnimento) preoccupati che in assenza di incendi si potesse verificare, negli anni successivi, una mancata assunzione, provvedono essi stessi ad innescarne alcuni;
e) gli addetti alla riforestazione, al fine di assicurarsi futuri lavori nei cantieri di rimboschimento.
PROPOSTE E PRESA DI POSIZIONE
L’Associazione Italiana per la Wilderness
RITIENE:
1 – che nessuna strada o pista sia realizzata allo scopo di prevenire o combattere gli incendi;
2 – che per taluni complessi forestali particolarmente vulnerabili e con carattere di elevata pregevolezza, sia prevista una preclusione dell’accesso in determinati periodi dell’anno e con modalità da stabilirsi, per impedire una frequentazione incontrollata e favorire la sorveglianza;
3 – che sia stabilita una severa sanzione di almeno € 500,00 effettivi (ai sensi della Legge 689/81) da elevarsi a chi viene sorpreso a gettare dagli automezzi mozziconi di sigaretta su qualsiasi tipo di strada;
4 – di esprimere una sua viva avversione alla strategia anti-incendio che preveda dei tagli boschivi e/o decespugliamenti eseguiti in maniera tale da creare le cosiddette “fasce tagliafuoco”, in quanto queste rappresentano delle ferite paesaggistiche di grandissimo impatto nonché forme di addomesticamento del territorio contrastanti con lo spirito Wilderness di una natura manipolata il meno possibile; d’altronde le fasce tagliafuoco si sono dimostrate ampiamente inutili quali strategia antincendio, come riscontrabile nell’esperienza di vari paesi mediterranei dove, nonostante il ricorso ad esse, il problema incendi è persino aumentato; inoltre le fasce stesse divengono dei facilitati punti di accesso per l’uomo (quando non strade vere e proprie) e quindi di probabile partenza degli incendi;
5 – che debba essere potenziato il parco di elicotteri e di aerei di pronto intervento antincendio, con dislocazioni strategiche sul territorio di vasche, serbatoi idrici e laghi artificiali ad uso agricolo nei quali questi mezzi possano rifornirsi nei casi in cui boschi ad alto rischio distino più di dieci chilometri, privilegiando comunque quelli con vegetazione originaria e autoctona;
6 – che debbano essere abolite le squadre antincendio retribuite, le quali quasi sempre finiscono col non operare, oppure con l’operare in ritardo o addirittura provocare esse stesse focolai per giustificare la loro esistenza (e retribuzione!);
7 – che per il dispositivo antincendi sia necessario puntare esclusivamente sull’apporto di personale permanentemente assunto o di volontariato particolarmente disponibile che non tragga alcun vantaggio dal fuoco;
8 – che le zone che siano state percorse da incendio non debbano essere assoggettate ad opere di rimboschimento a meno che tali interventi non siano strettamente indispensabili (luoghi a scarsa spontanea crescita vegetazionale pioniera);
9 – che nelle zone rimboschite che siano state percorse da incendi, non si provveda a nuove opere di rimboschimento prima di un periodo di almeno dieci anni.
10 – di estendere questa raccomandazione anche ad alcuni indotti della filiera antincendi boschivi; ovvero alle ditte che forniscono elicotteri e velivoli o altre attrezzature; in questo settore è necessario rendere questi apporti quanto più possibile pubblici, evitando la deleteria spirale: più incendi – più lavoro – più lavoro – più guadagno; rafforzare quindi le strutture pubbliche che già esistono e che tra l’altro lavorano bene sia pur non sempre supportate da idonei finanziamenti e attrezzature;
11 – che almeno nelle zone di più alto pregio naturalistico ad alto rischio di incendio una parte dei finanziamenti per i servizi antincendio vengano devoluti all’elargizione di cospicui premi in danaro da offrirsi a quei pastori e/o agricoltori che sottoscrivano un impegno di guardiania antincendio, ovvero assicurando loro un premio in danaro se allo scadere di ogni anno nessun incendio abbia interessato le loro zone (da individuarsi precisamente);
12- che vengano dotate di apparecchi di osservazione a circuito chiuso i comandi della forestale e dei carabinieri di certe situazioni logistiche particolari fra le zone ad alto rischio e specificatamente per quelle il cui punto di rilevamento sia unico e posizionabile esternamente alle zone da controllare;
13 – che l’attuale normativa sanzionatoria debba essere adeguata in maniera tale da poter applicare una pena pecuniaria minima non inferiore ad € 25,00 effettivi (ai sensi della Legge 689/81) a capo per chi vada a pascolare nelle zone incendiate nei primi cinque anni; ciò in quanto la pena pecuniaria che viene di solito applicata al trasgressore finisce per essere quella più economicamente a lui favorevole; con una previsione di estensione della stessa pena a chi frequenti zone incendiate per la raccolta di asparagi e di altre risorse del sottobosco;
14 – che sia abrogata la norma che fa obbligo di ripulire le zone incendiate, e che esse siano lasciate al libero sviluppo della vegetazione spontanea pioniera;
15 -che in subordine, nel caso di boschi solo percorsi dal fuoco, non vengano abbassati i prezzi di base d’asta per la vendita del legname;
16 – che nelle scuole di ogni ordine e grado venga fatta opera di educazione ambientale e civica sul problema degli incendi e sull’importanza di segnalarli alle autorità il più presto possibile; nonché che vengano promosse campagne pubblicitarie e programmi televisivi di sensibilizzazione al problema del volontariato di sorveglianza antincedio.
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