Il presente articolo è tratto da uno dei capitoli del libro biografico Aldo Leopold’s Odysseey (L’Odissea di Aldo Leopold), pertanto anche le parti non virgolettate esprimono il pensiero di Aldo Leopold.
Le osservazioni fatte da Aldo Leopold durante il suo viaggio in Germania (1) servono a comprendere come si sia formato il suo latente desiderio di proteggere ciò che restava delle aree selvagge d’America. Esse gli diedero anche nuove o piuttosto chiare ragioni per farlo. Proteggere la wilderness in contrade che erano sempre più abitate equivaleva ad una scelta di utilizzo della terra. Per Leopold la Wilderness fu, in effetti, «un modo di utilizzare la terra» in maniera potenzialmente produttiva, non solamente un materiale grezzo, ma anche valori sociali e culturali. Quello che Leopold pensava della wilderness, erano le stesse cose che si poneva per la fauna. In quale maniera poteva la wilderness, in quanto luogo e come esperienza, suscitare amore e coscienza di responsabilità per l’ambiente? Come poteva essa suscitare i cambiamenti culturali che la vera conservazione richiedeva?
Gli Stati Uniti posseggono ancora vaste aree di natura selvaggia e spazi ininterrotti, ma essi sono stati molto ridotti nell’ultimo secolo. Le zone selvagge sono «il materiale grezzo che l’uomo ha manipolato per giungere a quell’artefatto che chiamiamo civiltà.» I primi colonizzatori europei sono stati così ansiosi nella fretta di realizzare il loro ideale di civiltà, dal dare scarsa attenzione a quello che stavano perdendo. In un breve manifesto scritto per presentare l’allora neonata Wilderness Society alla cui nascita aveva contribuito, Leopold lamentava degli eccessi della colonizzazione: «Questo Paese è stato così martellante nell’utilizzare fortemente l’arma dello sviluppo per così tanto tempo da aver dimenticato l’incudine della wilderness, la quale dava valore e significato al suo lavoro. Quello che stiamo realizzando è così privo di precedenti che le restanti parti di wilderness rischiano di essere sommerse dal polverone di nuove strade, prima che ci si renda conto del suo valore.»
Non costituisce forse un valore profondo preservare qualcosa di ciò che ha permesso alla Nazione americana di esistere? Non è forse insolente il fatto che ciò che si è creato si rivolti contro il suo creatore? Eppure la Nazione americana, che sta sempre più correndo sulle ali della civilizzazione, sta proprio facendo questo. La conservazione della wilderness induce a cambiare il modo di utilizzare la terra, pensava Leopold. Egli riteneva che la wilderness si ponesse come un uso di qualità contro una mera concezione di progresso economico e richiedeva «un’intelligente umiltà da parte dell’uomo nel ritagliarsi un posto in natura.» La wilderness è l’unica cosa che l’homo sapiens non può creare o costruire, perché il vero senso della wilderness sta nella sua «esistenza di per sé», e nella sua indipendenza dal disegno umano, egli sosteneva.
Leopold è stato un leader nella formazione di una politica americana per la conservazione della wilderness. In effetti egli propose il termine «Wilderness Area» per definire un pezzo di terra appartenente alla Federazione che sia così designato e classificato, e fu tra i primi a portare avanti una politica ufficiale per la protezione della wilderness nelle Foreste Demaniali per scopi ricreativi, dandovi inizio con uno specifico saggio. In quel suo primo argomentare su questo tema, Leopold giustificava le aree di wilderness quali luoghi dove la gente potesse praticare in solitudine attività ricreative che non fossero possibili altrove. «Per Wilderness,» egli scrisse nel 1921, «io intendo un ininterrotto pezzo di terra preservato nel suo stato naturale, aperto ad una caccia ed una pesca legali, abbastanza grande da potervi praticare un viaggio a cavallo di almeno due settimane, e mantenuto privo di strade, sentieri artefatti, rifugi turistici o altre opere dell’uomo.»
Nell’esperienza di wilderness Leopold vedeva la chiara opportunità, se non altro per una minoranza di persone, di risvegliare un loro interesse verso la natura e l’importanza della sua conservazione. Egli esaminò questa possibilità in un breve saggio scritto verso la fine della sua vita, dal titolo “Flambeau”, (2) un lamento per una natura selvaggia «sulla via di sparizione» a causa dell’urbanizzazione che stava sempre più invadendo le rive di uno degli ultimi fiumi del Wisconsin rimasti selvaggi. Un saggio che era anche una futurista visione di come quel ripido corso d’acqua avrebbe potuto divenire un benefico valore culturale. In “Flambeau” Leopold descrive un viaggio in canoa fatto con un gruppo di amici. Nel secondo giorno lungo il fiume essi incontrarono due ragazzi che stavano godendosi alcuni giorni di libertà e di vita all’aria aperta prima di dover partire per il servizio militare, dove avrebbero affrontato inevitabili severe restrizioni. Egli rifletté che, trascorrendo quei giorni solatii dipendendo dalle loro capacità per procurarsi il cibo, prepararsi un riparo e riscaldarsi, quei ragazzi si mantenevano vivi mediante una totale immersione nella natura selvaggia: «L’elementare semplicità del viaggiare in uno stato di wilderness era emozionante non solo per la sua novità, ma anche perché rappresentava una completa libertà di poter commettere errori. La wilderness dava loro il primo assaggio di quelle attenzioni e quei punitivi sbagli per azioni sagge o pazzoidi che ogni uomo che viva nei boschi commette o deve affrontare quotidianamente, e per evitare i quali la civiltà ha elevato tutta una serie di barriere. Quei ragazzi erano autonomi, dipendendo solo da loro stessi.»
Con “Flambeau” Aldo Leopold esaminò le diverse ragioni per proteggere la wilderness. Non tutti i frequentatori della wilderness, naturalmente, ma molti di essi avrebbero potuto venire a godere di un’intima percezione della natura scoprendola nel suo stato selvatico. Essi avrebbero potuto ricordare la fondamentale dipendenza con essa o goderne ascoltandone i suoni, «il dialogare tra colline e fiumi.» La wilderness è un’opportunità per una solitaria contemplazione ed un’occasione per estraniarsi dal moderno modo di vita.
Tuttavia c’era una paradossale limitazione nell’esperienza della wilderness quale opportunità per un’autentica interazione con la natura. Questa stava nella sensibilità delle aree selvagge al sopportare un uso umano massiccio. Un alto numero di visitatori può velocemente degradare la selvaggia originaria qualità di un paesaggio, pensava Leopold. Un uso massiccio può sia alterare fisicamente la wilderness sia ridurre i suoi valori in quanto luoghi dove trovare la solitudine. «La conservazione della wilderness è di per sé un’auto-minaccia,» scrisse Leopold in un suo saggio sulle paludi, «perché per averne cura noi dobbiamo vederla e goderne, e quando l’abbiamo vista e ne abbiamo goduto abbastanza, non resta più nulla di wilderness di cui curarci.»
Lo standard per la gestione della wilderness non deve essere il numero di visitatori che possono visitarla, ma piuttosto la qualità dell’esperienza di cui essi possono godere, argomentava Leopold. Un’autentica avventura nella wilderness necessariamente richiede tempo e sforzo fisico. Essa non può essere troppo facilitata. Deve restare piena di rischi ed essere intrigante affinché stimoli la curiosità di chi la esplori e faccia prendere coscienza dell’interdipendenza che esiste tra gli uomini e la natura. «Che senso avrebbero i nostri quaranta liberi Stati se fossero senza una macchia bianca (3) sulla loro mappa?» si chiedeva Leopold.
Visto che anche vaste ed isolare aree di wilderness possono soddisfare solo piccoli numeri di visitatori, non tutti possono visitare questi luoghi con soddisfazione. Farli visitare in massa non è semplicemente il modo corretto per far conciliare la gente con la natura, mentre ciò può avvenire in molti altri luoghi al di fuori di integre aree di wilderness.
NOTE
(1) La famiglia di Aldo Leopold era originaria della Germania.
(2) ”Flambeau” è il nome di un fiume dello Stato del Wisconsin, oggi in gran parte protetto come Wild and Scenic River (Fiume Selvaggio e Scenografico).
(3) Con questo termine Aldo Leopold intendeva gli spazi selvaggi che sulle mappe di solito appaiono come parti prive di strade e paesi, cioè, appunto, “macchie bianche”.
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