CONTARE L’ORSO BRUNO MARSICANO

Ormai è notoria la drammatica situazione in cui versa la popolazione dell’Orso bruno marsicano. Negata per decenni dal Parco Nazionale d’Abruzzo e dal WWF, oggi sono le stesse autorità e lo stesso WWF a riconoscerla. Peccato che anziché prendere dei provvedimenti per fare in modo di invertire la situazione sia il Parco sia il WWF ancora nell’estate del 2005 hanno organizzato, con un gran battage pubblicitario su giornali e media, escursioni a pagamento per osservare l’orso ed addirittura una marcia d’agosto “in difesa dell’orso”: cioè, esattamente quello che non andava fatto, essendo il disturbo da turismo la prima delle cause che ha fatto disgregare la popolazione facendone abbassare la natalità ed alzare la mortalità. Già l’AIW aveva deplorato che si sia contribuito alla causa prima della dispersione, favorendo ed organizzando direttamente escursioni turistiche, marce ed aggregazioni di persone nei luoghi più delicati per la vita dei pochi individui di orso rimasti nel territorio del Parco Nazionale, ingannando gli stessi partecipanti certi con ciò di favorire invece la sua protezione (come se in Italia ci fosse ancora qualcuno da convincere sul fatto che l’orso vada protetto!). Così come ha espresso più volte la più viva disapprovazione per le suddette iniziative, le quali, anziché favorire la protezione dell’orso, ne aggravano la già precaria situazione, per di più ad opera di organismi che per legge e per finalità dovrebbero invece agire contro chi tali iniziative pone in essere. Esserne invece gli artefici è stato ed è segno di un perverso modo di agire in sua difesa. In pratica, per anni è stata messa in atto una campagna di mistificazione per nascondere la drammatica situazione in cui versa la popolazione dell’Orso bruno nell’Italia centrale, poi riconosciuta dalle stesse autorità e dal WWF. Come slogan della campagna per la “protezione” dell’Orso hanno affermato che di quest’animale ne sopravvivrebbero «solo più poche decine di individui», cosa dalle stesse autorità e dal WWF negata per decenni (fino a solo pochi anni or sono), evitando di evidenziare le vere responsabilità e motivazioni di questa situazione, addossandole di comodo «al bracconaggio ed al degrado ambientale», ignorando invece la vera causa della dispersione, la quale è stata la causa prima della riduzione della popolazione (il turismo in tutte le sue versioni, ecologiche ed eco-compatibili comprese). Invece no, un unico nemico, sempre quello, il solito bracconiere: detto anche “cacciatore” (perché per qualcuno essi sono sinonimi)! Una grave mistificazione addossare la responsabilità della drammatica riduzione ai casi sporadici di bracconaggio (quasi mai veramente voluti, ma quali risultato di atti solo casualmente ed indirettamente letali per l’Orso), e addirittura addossarle ad un «degrado ambientale» che non c’è mai stato, essendo le montagne e le foreste dell’habitat dell’Orso bruno tra quelle più protette e meglio preservate d’Italia, dove l’unico degrado è, se si vuole, solamente quello dell’ambiente agricolo, che ha subito la riduzione delle coltivazioni e della pastorizia. Non sono i bracconieri e tanto meno i cacciatori a minacciare di estinzione quest’animale: siamo noi, i cosiddetti amanti della natura, noi, i turisti che abbiamo preso d’assalto il Parco Nazionale d’Abruzzo, noi e i gestori del Parco passati alla cronaca per i bilanci …, molto discutibili, degli ultimi trent’anni, i quali, per soddisfare le richieste del turismo per fini socio-economici, hanno trasformato il Parco in un’area ricreativa. E’ vero, fu la strage dei primi anni ’80 a dare, se non il colpo di grazia, almeno quello che porterà presto a ciò, con l’uccisione di quasi 50 orsi nel volgere di soli 5 anni! Orsi che però avevano abbandonato il Parco e la sua zona periferica a causa del disturbo del turismo “ecologico” così tanto decantato dalla stampa, quel turismo di massa che ha invaso il Parco ed ha costretto l’animale ad abbandonare i suoi luoghi originari per sbandarsi in una vera e propria diaspora che ha frantumato la popolazione, ridotto la possibilità di riproduzione, favorito le uccisioni da parte di chi l’Orso più non conosceva da immemori anni. Il problema è che la verità è troppo “ecologica” per essere accettata! Ed oggi, qual’è la risposta a questa drammatica situazione? Nessun provvedimento concreto. Ancora nuove ricerche e studi, e conteggi, conteggi all’infinito! Le stesse cose che si stanno facendo da quasi 100 anni. Cambiano solo i nomi degli studiosi. Ed un invito ai turisti, a «marciare» sui sentieri dell’Orso in sua difesa: come rivoltare il coltello in una ferita per farla rimarginare, anziché estrarre la lama, fasciare la ferita e fare riposare il corpo dolorante! Troppo semplice (e troppo impopolare!) chiudere al turismo grandi aree del Parco Nazionale e sue zone esterne per riservarle all’Orso (l’estate scorsa le autorità del Parco hanno infine deciso la chiusura al turismo di una delle zone più delicate per l’orso; peccato che l’abbiano però riservata ad una cooperativa locale che da anni vi accompagna la gente a vedere l’orso, e che rappresenta il disturbo maggiore, eliminando così la concorrenza, ma non il problema, che per di più si aggrava con l’indiretta educazione ai posti che i partecipanti alle escursioni acquisiscono!), ed incentivare la coltivazioni e la pastorizia nei pressi o all’interno delle stesse zone. Sono questi i provvedimenti principali da prendere, senza ledere gli interessi dell’economia locale, basata anche su tante altre attrattive e motivazioni. Non sono, infatti, i milioni di turisti che frequentano i centri urbani del Parco a disturbare l’orso, bensì le migliaia di escursionisti spinti ad un incontro di cui l’orso non sente alcuna necessità! Eppure, nell’estate dello scorso anno ed anche in quella appena trascorsa, abbiamo letto ancora di appelli, annunci, inviti, programmi per visitare l’ambiente dell’orso, per cercarlo con la scusa di aiutarlo e di salvare le sue montagne: Parco Nazionale e WWF tutti presi ad organizzare “assalti” all’orso ed al suo habitat, in sua difesa: «faunawatching» in Val Fondillo e Camosciara, ecc.. Tutti lì riuniti a «sensibilizzare i turisti», tutti lì «dalla parte dell’Orso bruno» a … cercare di contarli: è dal 1928 che si cerca di contare gli orsi come unica iniziativa che si riesce a concretizzare per salvarli. Quello da fare sta scritto da decenni, e tutti gli studiosi ed i tecnici e le autorità quelle pagine le tengono nei loro archivi. Ma non basta. Ci vogliono altri studi, studi che inevitabilmente non potranno che portare a dire le stesse identiche cose: controllo del turismo, incentivi all’agricoltura ed alla pastorizia. Invece si cercherà solo di ottenere l’ampliamento del Parco Nazionale ed il blocco all’attività venatoria, tutte cose che fino ad oggi non hanno affatto salvato l’orso, né lo salveranno mai, perché i problemi sono altri. Se di tutti i milioni di euro spesi negli ultimi trent’anni per la ricerca, i convegni e le pubblicazioni e per favorire il turismo ne fossero stati spesi il 10% per salvare l’Orso, oggi non saremmo a questo punto. Perché non saranno gli Stati Generali né i PATOM a salvare l’Orso d’Abruzzo, ma le oasi di silenzio, i campi di granoturco e le greggi pascenti; tutte cose che non portano danaro nelle casse di chi sull’Orso bruno ha impostato posti di lavoro e soddisfazioni personali: d’altronde, i meriti di uno studioso straniero presente al convegno del PATOM è stato evidenziato, non dicendoci di sue azioni concrete o quelle concrete da esso dipese in difesa di specie in via di estinzione, ma dal «gran numero di pubblicazioni» edite! Addirittura, per salvare l’orso d’Abruzzo, non si è pensato di meglio che di gemellarlo con il Panda cinese, e con l’intento dichiarato (sic!) di veicolare sempre più turisti tra Cina ed Abruzzo! Ma, di questo passo, “l’Abruzzo non sarà più l’Abruzzo”!

di FRANCO ZUNINO