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Il connubio tra la filosofia Wilderness e la caccia analizzato da uno studioso e cacciatore di camosci

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Il termine “Wilderness”, di non facile traduzione in italiano, esprime un concetto filosofico di amore per gli spazi selvaggi, volto ad un utilizzo razionale delle loro risorse rinnovabili, fauna e flora, ed alla salvaguardia dell’ambiente, in modo compatibile con le esigenze del lavoro dell’uomo. Un europeo che amò l’America più degli americani stessi, fu lo scozzese John Muir (1883-1914), il quale durante la sua vita, si batté per la preservazione degli spazi selvaggi di quel paese, da filosofo, da naturalista ed infine da fervido conservazionista. Fu il primo che fece della “Wilderness” un ideale in cui vivere da “anime libere”, per le quali “le montagne, le foreste, i fiumi, gli animali selvatici diventarono una religione”. Trasferitosi negli Stati Uniti all’età di trent’anni, Muir ne fece territorio di vita e di studio delle scienze naturali e nei suoi viaggi dal Wisconsin alla California e sino alla gelida Alaska, fu affascinato dalle bellezze naturali di molte vallate, come quella di Yosemite che rappresentò il primo nucleo di area naturale protetta, cui fece seguito nel 1872 la costituzione del Parco Nazionale di Yellowstone. A sostegno delle sue idee egli fondò infine il famoso Sierra Club. Bisogna però giungere agli inizi del XX secolo perché questi concetti, teorie ed idee sulla conservazione della natura e della fauna selvatica fossero codificate e diffuse negli Stati Uniti. Il concetto di conservazione, inteso come saggio utilizzo delle risorse rinnovabili, fu suggerito dal Presidente Theodore Roosevelt e da Gifford Pinchot nel 1919 in un documento nel quale era scritto: «Le popolazioni di animali selvatici, le foreste, gli ambienti dove essi vivono, le risorse naturali nel concetto della loro rinnovabilità, possono essere perpetuate a condizione che siano gestite sulla base di informazioni scientifiche. La difesa di queste risorse deve essere riconosciuta come responsabilità pubblica e morale per perpetuare ogni forma di vita naturale esistente». Fu però Aldo Leopold (1887-1948) il vero fondatore del movimento “wilderness”. A lui si devono molte relazioni e studi sulle migrazioni di diverse specie di uccelli, particolarmente anatidi, all’interno degli Stati Uniti, sulla presenza in vari Stati dell’Unione di animali di particolare importanza e sull’effetto dell’ambiente e della selvicoltura ai fini di una gestione venatoria (Aldo Leopold era un naturalista, ma anche un cacciatore). Nel 1925, in un articolo sul “Journal of Land and Public Utility”, egli fece apparire per la prima volta la parola wilderness come un modo di gestire l’ambiente (“wilderness as a form of Land use”). Negli anni successivi, con una serie di articoli e di pubblicazioni particolarmente rivolti all’aspetto gestionale della selvaggina ed alla sua importanza come elemento per la razionale valutazione di un corretto prelievo venatorio, il suo interesse si rivolse in modo particolare alla gestione del territorio e degli animali selvatici che vi vivevano; articoli che sarebbero poi culminati in uno dei suoi libri più famosi: “Game Management”, pubblicato nel 1933 e più volte ristampato fino ai giorni nostri. Questo volume, ad oltre settant’anni dalla sua comparsa, è ancora considerato la pietra angolare di tutta la struttura sulla quale è stata fondata, nei decenni successivi e fino ai giorni nostri, la gestione scientifica della selvaggina e del territorio dove essa vive. Passando in rassegna i molti capitoli in cui il volume è stato suddiviso, colpiscono quelli storicamente più significativi, le cui origini si trovano riportate già da Marco Polo (1254-1324) nel suo libro il “Milione”. Scrive, infatti, il famoso esploratore italiano, sulle leggi che governano la caccia nell’Impero Mongolo, volute da Kublain Khan (1215-1294): «E’ stabilito un ordine che proibisce ad ogni persona in tutte le regioni soggette al gran Khan di osare ad uccidere, lepri, caprioli, daini, cervi ed altri animali selvatici di ogni tipo, o grandi uccelli fra i mesi da marzo ad ottobre. Ciò affinché essi possano aumentare e riprodursi; la violazione di questo ordine condurrà a severe punizioni». Egli aggiunge inoltre dettagli interessanti riscontrati vicino alla città di Changanoor, nel Catai, dove per ordine dell’Imperatore venivano predisposti foraggiamenti invernali ed idonei ripari per la piccola selvaggina (pernici e fagiani) che erano periodicamente riforniti di granaglie ad opera degli addetti alla sorveglianza, mentre in primavera faceva seminare miglio, panico ed altre graminacee, di cui proibisce il raccolto «affinché questi selvatici possano nutrirsi a loro piacere». Ecco, quindi, i primi esempi nella storia della caccia, di foraggiamenti invernali e di colture a perdere! Aldo Leopold fu quindi il primo a livello mondiale a parlare scientificamente della gestione della selvaggina e dell’ambiente in cui essa vive, fino a divenire professore di questa materia presso l’Università del Wisconsin. Forse può quasi dirsi che egli fu il primo vero biologo della selvaggina, e fautore della necessità di una sua gestione. Memorabile rimane la sua critica alla politica di sterminio degli animali predatori, quali puma, orsi e lupi, che alla sua epoca era praticata ufficialmente dal servizio federale per la caccia e la pesca. Egli aveva infatti compreso come questi animali avessero anche una funzione equilibratrice e sanitaria nei confronti delle popolazioni di erbivori; oltre che un loro diritto a continuare ad esistere. Il suo lavoro rimase però circoscritto agli Stati Uniti, e così pure tutte le conoscenze da lui acquisite in decenni di impegno e di studio nel continente nord-americano, mentre la vecchia Europa, soprattutto quella tedesca dalla quale egli era originario (che nelle metodologia di caccia agli ungulati era la punta più avanzata del mondo venatorio europeo) riteneva sufficiente l’interesse per la valutazione dei trofei e dava ancora scarsa importanza alle problematiche connesse con la gestione della fauna e del territorio ad essa legato. Durante i suoi anni come dirigente del Servizio Forestale, egli ideò e propose ai suoi superiori la costituzione di una grande area da far rimanere selvaggia, abbastanza vasta da consentirvi di trascorrere intere giornate a cavallo anche per praticarvi la caccia, che fu da sempre la sua grande passione di vita all’aria aperta. L’Area fu creata (Gila Wilderness), e fu la prima di una serie che ben presto si diffuse in ogni angolo del paese, fino a coprire oggigiorno molte decine di milioni di ettari. Quella sua idea iniziale non fu mai abbandonata, tanto che in esse l’attività venatoria è riconosciuta ed autorizzata come elemento cardine della loro designazione. Un principio che restò sancito per sempre nei dettami della legge che dopo la sua morte fu approvata dal Parlamento americano. Negli ultimi anni della sua vita l’impegno di Aldo Leopold, nel frattempo divenuto professore di ecologia e “wildlife management” presso alcune università, si trasformò da una visione quasi filosofica in una visione più scientifica, vedendo anche l’uomo nella conservazione degli ambienti naturali rimasti selvaggi, come perno ed attore principale per la loro gestione. Sulla scia di questa filosofia che non ha mai negato i diritti dei cacciatori, in netto contrasto con la mentalità protezionistica voluta dalla nostra area ambientalista nazionale, limitativa nei confronti della caccia, all’inizio degli anni ottanta anche in Italia, per iniziativa di Franco Zunino – all’epoca tecnico naturalista del Parco Nazionale d’Abruzzo – nacque un movimento per la Wilderness, applicando con successo le idee ed i principi di Aldo Leopold, realizzando a tutt’oggi molte decine di aree “Wilderness” sparse in tutta Italia. Per concludere, penso quindi che sia questa la strada giusta; penso che sia giunto il momento che anche in Italia si debba seriamente pensare ad una trasformazione della conservazione della natura da passiva ad attiva, con la partecipazione di tutte le forze che hanno a cuore questo obiettivo, cacciatori compresi. La Wilderness è l’idea giusta.

di LUIGI RIVOIRA

7 agosto 2007

WILDERNESS: AMBIENTALISMO PER CACCIATORI

Il connubio tra la filosofia Wilderness e la caccia analizzato da uno studioso e cacciatore di camosci _______________________________________________________________________________________ Il termine “Wilderness”, di non facile traduzione in italiano, esprime un concetto filosofico di amore per gli spazi selvaggi, volto ad un utilizzo razionale delle loro risorse rinnovabili, fauna e flora, ed alla salvaguardia dell’ambiente, in modo compatibile con le esigenze del lavoro dell’uomo. Un europeo che amò l’America più degli americani stessi, fu lo scozzese John Muir (1883-1914), il quale durante la sua vita, si batté per la preservazione degli spazi selvaggi di quel paese, da filosofo, da naturalista ed infine […]
7 agosto 2007

«FUCILI & VERDI»

«Se i cacciatori e gli ambientalisti collaborassero, essi sarebbero invincibili» Il titolo ed il sottotitolo di quest’articolo sono quelli originali apparsi sulla rivista AUDUBON della National Audubon Society nel numero di gennaio-febbraio del 2005. E’ sintomatico notare che a pubblicare questo articolo sia stata la rivista AUDUBON, e che redazionalmente sia stato scelto e il titolo e il sottotitolo e l’inserimento – a grande rilievo nel corpo dell’articolo – della seguente estrapolata frase dell’autore: «Io non mi sono mai considerato un anti-caccia. Possiedo sei fucili, due carabine e due pistole; sono un appassionato cacciatore e tiratore, e possiedo una licenza […]
7 agosto 2007

PER UN CACCIATORE AMBIENTALISTA

«Noi non possiamo pensare che la selvaggina si conservi da sola; prima di ripopolare di animali è necessario ripristinare il loro habitat, e questo significa rieducare i cacciatori, e rivedere anche tutti i mezzi che essi utilizzano per farlo.» Aldo Leopold 1887-1948 Questo numero del periodico è dedicato ancora una volta al mondo della caccia e all’ambientalismo di parte e d’opposizione ad essa. Lo scopo non è educare i cacciatori all’amore per il mondo naturale, che sarebbe come portare acqua al mare, bensì convincerli dell’importanza anche di un loro impegno al nostro fianco nella comune guerra per preservare un poco […]
3 marzo 2007

IL MIO PENSIERO PER L’ORSO BRUNO MARSICANO

Forse tra i tanti che si sono occupati e che ancora si occupano dell’Orso bruno marsicano, tecnici, studiosi e semplici cittadini, che in varie occasioni hanno avuto modo di dire la loro su quest’animale, sul perché della sua drastica diminuzione e su cosa bisognerebbe fare per migliorare le cose, una voce è sempre mancata tra quelle “ufficiali”: quella dei Guardaparco del Parco Nazionale d’Abruzzo, persone che hanno dedicato una vita intera per la sua protezione, che lo conoscono, che ne conoscono i luoghi di vita, le esigenze e le negatività di tanti impatti antropici, ma alle quali raramente è stato […]