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Dalla lettura di un articolo di Gerardo “Lillino” Finamore, già Guardiaparco del Parco Nazionale d’Abruzzo ed inventore dell’omonimo recinto che difende i campi coltivati dall’invadenza di animali selvatici e domestici riservandoli invece al solo Orso bruno marsicano, riflessioni per una gestione più responsabile dei nostri Parchi Nazionali ed in particolare di quello d’Abruzzo.

Lessi con molto interesse l’articolo dell’ex guardiaparco Finamore pubblicato in Wilderness/Documenti N. 1 del 2007. L’ex guardiaparco Lillino è davvero una persona saggia; è questa la prima impressione che ho avuto. Se a persone così fosse sempre data l’opportunità di mettere a frutto la propria esperienza le cose andrebbero sicuramente meglio! L’articolo solleva molte questioni relative alle enormi contraddizioni con cui si sono svolte le politiche dei parchi nazionali per la tutela della fauna selvatica.

Questa testimonianza evidenzia bene come spesso i dirigenti dei parchi nazionali non abbiano mai tenuto in considerazione il ruolo delle comunità locali nella gestione (sarebbe il caso di dire auto-gestione) del proprio territorio. Spesso, infatti, (come pure dalle mie parti, nel Parco Nazionale del Pollino) pastori e contadini sono stati esasperati dalle politiche di sviluppo (chiamiamolo sviluppo..!) dei parchi. E così quest’esasperazione si è ritorta anche contro la natura. Quando non si ostacola la povertà, l’ignoranza e l’abbandono, il degrado avanza e non è un bene per nessuno, soprattutto per la natura. Questo sono stati capaci di fare, spesso, alcuni burocrati dell’ambiente: mettere le comunità locali contro il proprio territorio, praticare politiche inconcludenti che… hanno aperto la strada all’emigrazione. Gli ambientalisti, gli esperti, i politici locali, dovrebbero sempre essere capaci di lavorare per armonizzare il rapporto natura/comunità locali, mettendo in atto – e pazientemente – un’azione culturale, volta a far sentire, tramite il loro coinvolgimento nelle attività di salvaguardia, le comunità locali i custodi della bellezza e dell’integrità della loro terra, delle loro montagne È una questione prima di tutto di democrazia, perché le comunità locali sono spesso (oggi è la norma) esautorate dalla gestione del proprio territorio. La coscienza ecologista non cade dal cielo! Non possiamo pretendere il rispetto della natura se non si rispettano le persone.

Ad esempio, sono d’accordissimo sulla questione dei risarcimenti. Non siamo in Alaska, e da noi l’orso ha bisogno di pecore perché ha sempre predato questi animali: è quindi giusto, come dice Lillino, che alla pastorizia sia permesso di sopravvivere con sovvenzioni e aiuti da parte dei decisori pubblici; ed è giusto pure che i pastori siano risarciti dei danni subiti dall’orso o anche dal lupo, com’è inevitabile se vogliamo che non diventino nostri nemici. Stessa cosa vale nel caso dei danni ai raccolti dei contadini. Con regole del genere e con misure concrete che non rimangano sulla carta si potrebbe raggiungere davvero quell’affratellamento che porta a considerare l’animale selvatico predatore, non come un nemico, ma come un conterraneo, un vicino di casa che ha diritto all’esistenza, a nutrirsi e a vivere libero nella foresta. E così si metterebbe fine a quella guerra che dura in alcuni casi ancora oggi e che ha sempre visto i predatori selvatici nel ruolo di inconsapevoli nemici dell’uomo. Questo dovrebbero fare gli “esperti” di gestione dei parchi e per queste cose dovrebbero agire quegli ambientalisti un po’ piccolo-borghesi che magari hanno anche la puzza sotto il naso rispetto alle esigenze di chi in montagna ci vive e ci lavora. In proposito Lillino è bravo anche nel richiamare la questione identitaria: l’orso come pure il lupo devono far parte dell’identità di una comunità. Io la chiamo cultura del territorio. Il sentirsi parte di quelle peculiarità naturalistiche, storiche e culturali di un territorio. Se io non mi sentissi in simbiosi con il mio Pollino, con i lupi, le aquile e i pini loricati, con la stessa mia storia familiare che ha visto avvicendarsi pastori, cacciatori e contadini, non avrei mai gli stimoli per amare e difendere la mia terra…

La stessa vicenda biografica di Lillino è emblematica. Le sue sagge proposte non vengono da scienziati ed esperti, ma da una persona che vive il territorio, da un uomo del popolo, da un montanaro, che appassionandosi al suo lavoro diviene un custode della sua terra e dell’orso, un lavoratore che sa approntare soluzioni efficaci a certi problemi. Il suo ingegno nell’ideare un sistema che permetta alle recinzioni di funzionare deriva proprio dalla sua esperienza di montanaro, da una creatività che surclassa l’arido schematismo degli scienziati e dei tecnici.  È un bene che l’associazione Wilderness lo abbia inserito tra le sue fila. Ovviamente giusta è la sua critica del turismo e dell’escursionismo di massa e il suo invito a non demonizzare pregiudizialmente il mondo della caccia. Io penso che persone così rappresentino l’avanguardianella difesa e nella conservazione di specie a rischio come orsi e lupi e nella costruzione (che va di pari passo) di quella convivenza armonica delle comunità locali montane con questi predatori selvatici.

Ugualmente, iniziative come la semina dei terreni da parte dell’AIW sono davvero lodevoli, perché vanno nella direzione di un ambientalismo pragmatico, non burocratico e allo stesso tempo animato da profondi ideali, che non si perde in conferenze e pubblicazioni scientifiche, che “vive” il territorio e che agisce spesso in autonomia dal burocratismo di Stato. Un ambientalismo che mette in pratica le sue idee sì, ma convalidate da seri studi naturalistici (come quelli di Zunino) che tengono conto delle diverse variabili, come ad esempio nel caso dell’orso, dell’influenza dell’antropizzazione sulla vita di questo animale… che io considero (dal basso della mia ignoranza in scienze naturali) un’acquisizione lungimirante per niente scontata. Un ambientalismo che si avvale della collaborazione di quell’antica “cultura del territorio” espressa da persone come il guardiaparco Lillino. Ecco, io penso che si possa e si debba rifondare l’ambientalismo conservazionista proprio su queste basi ideali.

Saverio De Marco

8 gennaio 2011

LA SAGGEZZA DI “LILLINO”

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19 agosto 2010

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19 agosto 2010

QUANDO SI DICE L’INCOERENZA!

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19 agosto 2010

COME SI SVILISCE LA WILDERNESS

In un titolo del giornale PANDA Se c’è una cosa in cui siamo campioni noi italiani è quello di svilire anche le cose più serie. Tutto quello che tocchiamo da oro diventa ferro! Anche il termine Wilderness, per tanti anni snobbato proprio dal WWF o almeno dai suoi dirigenti fin da quanto Franco Zunino lo “importò” in Italia cercando di diffonderne il profondo significato conservazionista, i quali negavano che in Italia si potesse parlare di wilderness e che esistessero aree ancora definibili con questo termine (come se le decine di migliaia di ettari selvaggi della Val Grande o della Majella […]