Centocinquanta anni fa negli Stati Uniti d’America vi fu la corsa all’oro e all’occupazione delle terre indiane. Oggi in Brasile si “corre” per colonizzare l’ultimo grande polmone verde della Terra. Sono cambiati i tempi, la politica, ma non è cambiato l’uomo, sempre affamato di terre, conservatore o progressista che sia. Quello che segue è la sintesi di un articolo apparso nel 2005 sul magazine ORYX (N. 4 vol. 39) della Fauna & Flora International (la più vecchia associazione conservazionista mondiale). Una sintesi lucida, informata e significativa di quello che sta succedendo in Amazzonia, fatto da parte di uno dei massimi organismi mondiali che operano per conservare (comprandoli) angoli selvaggi e di biodiversità del Pianeta: Conservation International.
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La foresta amazzonica del Brasile è rimasta relativamente intatta (98-99%) fino ai primi anni ’70 del secolo scorso, prima di quella data solo un’area grande circa come il Portogallo era stata trasformata. Da allora il governo brasiliano ha promosso infrastrutture per il trasporto (autostrade, vie fluviali e ferrovie) e produzione di energia elettrica (finora già quattro dighe). Questi investimenti hanno portato a rapidi sfruttamenti forestali, alla riduzione delle foreste a pascoli per l’allevamento del bestiame, agli sfruttamenti minerari e, più recentemente, a quelli agricoli, specialmente di soia; tutte cose che hanno provocato un massiccio arco di deforestazione in tutta la parte sud dell’Amazzonia, dal Rondônia al Mato Grosso al meridionale Pará. Le autostrade vengono ora asfaltate, ed il drammatico ma tipico effetto può essere visto, per esempio, lungo i 1.760 Km della strada BR-163 Cuiabá-Santarém. Ogni chilometro di asfalto stimola un ciclo fatto di tagli boschivi, esboschi totali ed incendi, poi un breve interludio di pascolo ed infine il rapido apparire delle coltivazioni di soia ed il proliferare di strade secondarie e trasformazioni forestali.
Le deforestazioni dall’agosto del 2003 all’agosto del 2004 sono state di 26.130 Km², quasi un record (fino al 1988 il punto più alto fu toccato nel 1995, con 29.059 Km²). I dati dall’agosto 2004 all’agosto 2005 indicano una riduzione a circa 16.000 Km², attribuiti in parte all’Operazione Curipira, che è partita nel giugno del 2005. Questa operazione ha creato un picco senza precedenti di deforestazioni illegali, focalizzate nello Stato del Mato Grosso (responsabile per il 40% della deforestazione totale nel 2003-2004 ed il 60% nel 2004-2005). Tuttavia, questi numeri sono più bassi della percentuale persa nell’Amazzonia brasiliana che è stata di circa il 17%, pari a 690.000 Km². Un’area grande come la Francia (545.630 Km²) è stata persa dal 1998, e l’equivalente di una intera Grecia è stata deforestata o incendiata da allora.
Questo assalto alla wilderness dell’Amazzonia è stata fortunatamente accompagnata anche da una simultanea corsa verso la sua conservazione, sia mediante aree strettamente protette ed aree ad uso sostenibile. Aree strettamente protette come i Parchi Nazionali, Riserve Biologiche e Stazioni Biologiche sono per la conservazione della biodiversità. Aree ad uso sostenibile permettono e promuovono invece l’utilizzo e l’estrazione delle risorse, ed hanno la conservazione della biodiversità come obiettivo secondario.
lI governo federale, quelli statali e quelli municipali hanno tutti creato aree protette di entrambe le categorie. Le aree protette federali comprendono il 15% dei 4.975.527 Km² di quella che è legalmente definita l’Amazzonia brasiliana. Di questo 15%, 29,5 milioni di ettari (5,5%) sono sottoposti a stretta protezione, mentre 47,2 milioni di ettari sono sottoposti all’uso sostenibile. Dal 1979 il governo federale ha aumentato il numero delle sue aree protette dell’Amazzonia da 4 a 92, per un totale di circa 46,5 milioni di ettari. I governi dei nove Stati amazzonici sono più restii in merito, ma in base all’ultimo conteggio hanno 133 aree protette per un totale di circa 30,2 milioni di ettari. Tuttavia ci sono notevoli differenze tra aree statali ed aree federali. In genere le aree protette statali sono più piccole, col 78% del territorio sottoposto comunque ad un certo utilizzo e solo il 22% strettamente protetto. Al contrario, le aree federali protette godono di una stretta protezione per il 49%. Oltre un quinto dell’Amazzonia brasiliana (circa 100,2 milioni di ettari) è inoltre legalmente definita e tutelata come Territorio Indigeno.
Il tempo ci dirà se le aree demarcate per una loro protezione assolveranno la funzione cui sono destinate, perché il futuro della foresta amazzonica dipenderà largamente dal come tutte queste aree saranno unite le une alle altre e dal come saranno gestite.
Resta il fatto che è in atto una grande corsa per mettere le mani su questa che è la più vasta estensione di elevata biodiversità rimasta ancora allo stato di wilderness della Terra. Paesi e città, speculatori, ditte del legname e minerarie, allevatori di bestiame, costruttori di dighe e coltivatori di soia hanno largamente dimostrato i loro interessi nel distruggerne circa il 17%, le nazioni indiane stanno combattendo per mantenerne intatto il 20%, il governo federale e quelli statali hanno strettamente protetto il 5,5% ed il 9,5% dedicato ad un uso ambientale razionale. Più del 50% dell’Amazzonia brasiliana è stata ceduta allo sviluppo, in gran parte negli ultimi 30 anni. L’aspetto terrificante è il gioco utilitaristico che sta dietro a tutto questo (favorito dai mercati mondiali, specialmente europei, del legname e della carne, e della soia verso la Cina). Il tutto si definirà nei prossimi 15-20 anni. Ma intanto un esempio va citato.
Le nazioni indigene della zona dello Xingu hanno miracolosamente ottenuto un territorio di 11 milioni di ettari, ma esso è ormai circondato dalle operazioni di deforestazione. Un terzo dell’alto bacino imbrifero del Rio Xingu è stato disboscato, e lo spettro delle dighe progettate lungo la parte bassa del fiume, che scatenò la maggior parte delle proteste negli anni’80, non è ancora stato allontanato. La progettata diga Babacquara creerebbe un lago artificiale – avente lo scopo di produrre energia ecologica – grande 6.140 Km², il doppio della diga Balbina, tristemente nota vicino a Manaus.
Se il Brasile ed il mondo vogliono seriamente affrontare il problema del surriscaldamento globale, quanto sta succedendo in Amazzonia deve essere immediatamente fermato; ma forse lo scenario più ottimistico per l’Amazzonia è che un nuovo piano di riforme venga approvato, con una differente serie di regole ed incentivi. Ciò è stato possibile in alcuni singoli Stati dell’Amazzonia, come nel caso dell’Amará, dove 10 milioni di ettari, pari al 71% dello Stato, è stato designato quale massiccio corridoio per la conservazione della biodiversità. Un piano per la ridistribuzione delle tasse municipali che favorisce la conservazione dell’ambiente, cominciato nel Paraná e copiato in altri Stati, può essere d’aiuto nel ricreare l’equilibrio.
di ANTHONY B. RYLANDS e KATRINA BRANDON
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