Tutti media in genere stanno sempre più esaltando il boom delle mountain bike da “enduro” o “down Hill” che sta imperversando (è il termine esatto, negativo, perché tale deve essere, se si ha un minino di interesse e rispetto per l’ambiente) in tutta la Liguria occidentale. Ovvio che molti dei Comuni interessati a quest’attività di outdoor (che, lo ripetiamo, non è solo biciclette da montagna ma anche caccia, pesca, campeggio, alpinismo, ecc.) la vedono di buon occhio; ovvio, porta soldi ai commercianti ed albergatori. La stessa Regione Liguria continua a stanziare fondi per dare sostegno a queste iniziative, fatte ingannevolmente passare come “ecologiche”, quando per la preservazione dell’ambiente non solo sono un disastro, ma spesso avvengono anche in palese violazione delle leggi esistenti in materia di aree protette e tutela dell’habitat forestale.
Purtroppo per loro, un’autorità che si rispetti, che sia un Comune o una Regione, non deve pensare solo all’interesse economico delle cose, ma anche ai beni culturali e ambientali da tutelare, ma anche alle esigenze dei cittadini che pur praticando sport affini si sentono lesi nei loro diritti, altrettanto sacrosanti.
Tra l’altro, è interessante notare come spesso gli utenti di queste pratiche sono in gran parte stranieri, ovvero, provengono da Paesi dove queste attività sono presumibilmente proibite, o severamente regolamentate, proprio in quanto lesive degli habitat forestali e delle proprietà private; succede così che essi trovano in Italia situazioni socio-politiche da “terzo mondo”, che colonizzano praticando liberamente, senza intralci legislativi, quelle pratiche che ai loro Paesi non sarebbero loro consentito fare.
Certo, c’è l’aspetto economico dell’indotto che esse creano, ma anche questo aspetto andrebbe valutato, perché, ad esempio, in riviera si crea spesso economia a scapito dei paesi e dei proprietari terrieri dei luoghi più interni che sono da loro sfruttati senza un minimo di rimborso (è noto come in passato vi siano stati diversi casi di boicottaggio, con “semina” lungo i sentieri di chiodi a tre punte o di fili spinati trasversalmente ad essi; pratiche non certo legittime né augurabili, ma che purtroppo a volte vengono impiegate per difendere diritti che le autorità non tutelano più. Anzi, spesso c’è da chiedersi con quale occhio i corpi di guardiania rurale delle autorità giudicano questi eventi, magari con i testi legislativi chiusi nei loro cassetti e raramente sfogliati e, ancora peggio, malamente interpretati per timore di irritare il potere politico.
E’ comprensibile che si stabiliscano alcune piste per queste attività, ma le autorità dovrebbero essere severe nello stabilire dove, come e, eventualmente, quando consentirle. Ovvero, solo dove il danno ambientale sia minore, escludendo certamente tute le aree SIC e le aree protette in genere.
Purtroppo, sulla stampa, all’affrettato lettore viene quasi trasmesso il messaggio dell’ecologicità di queste pratiche, facendole confondere con gli itinerari da mountain bike per appassionati escursionisti con le due ruote, quando invece si tratta di attività quasi sempre, formalmente o informalmente, agonistiche, estremamente dannose e, a volte, anche pericolose sia per gli utenti sia per gli altri fruitori della montagna, rumorose e disturbatrici dell’ambiente naturale e dei luoghi in cui si praticano. Vi sono situazioni di erosioni ambientali che dovrebbero essere INTOLLERABILI, se le leggi in materia fossero correttamente interpretate (si pensi a chi ha subito sanzioni solo per il mero fatto di aver parcheggiato un mezzo in una zona prativa esterna alle carrarecce!). Eppure le pratiche qui contestate arrecano situazioni erosive per vegetazione e suolo che definire scandalose è poco! Per non dire del disturbo da rumore, ben peggio dello sparo di un cacciatore per la fauna circostante. Eppure tutti tacciono e tutti lodano il cosiddetto “ecologismo” di queste pratiche!… Solo perché portano soldi…
Ci vuole una legge, severa, e non condizionata dal solo aspetto del ritorno economico.
Murialdo, 30 Settembre 2019 Franco Zunino
Segretario Generale AIW