«Se i cacciatori e gli ambientalisti collaborassero, essi sarebbero invincibili» Il titolo ed il sottotitolo di quest’articolo sono quelli originali apparsi sulla rivista AUDUBON della National Audubon Society nel numero di gennaio-febbraio del 2005. E’ sintomatico notare che a pubblicare questo articolo sia stata la rivista AUDUBON, e che redazionalmente sia stato scelto e il titolo e il sottotitolo e l’inserimento – a grande rilievo nel corpo dell’articolo – della seguente estrapolata frase dell’autore: «Io non mi sono mai considerato un anti-caccia. Possiedo sei fucili, due carabine e due pistole; sono un appassionato cacciatore e tiratore, e possiedo una licenza di porto d’armi di più alto titolo (classe A) che mi consente anche di tenere munizioni non registrate». La National Audubon Society è l’equivalente della italiana LIPU! Se ne viene qui pubblicata la traduzione, e molto volentieri, è perché in questo articolo sono racchiuse idee e concetti che potrebbero essere anche nostri, se non fosse per la cultura animalista così tanto dominante nell’ambientalismo italiano, tanto dominante da sacrificare sull’altare delle emotività la possibilità di giungere con maggior successo alla protezione di tanti luoghi minacciati non già dalla caccia, ma dall’urbanizzazione e dal turismo, e che gli stessi cacciatori vedono con dispiacere andare perduti, e per prevenire i quali si batterebbero ben volentieri con gli ambientalisti per salvarli se avessero la certezza di non essere poi ingannati con dei colpi di mano miranti a chiudere questi luoghi all’attività venatoria. Sarà interessante per il lettore notare come la situazione descritta sia esattamente inversa di quella nostrana, ma con gli stessi identici risultati: in America, infatti, la maggiore opposizione ad un rapporto di collaborazione tra cacciatori e ambientalisti avviene da parte dei primi! L’autore è un noto scrittore e giornalista, oltre che membro dell’Audubon Society, e come tale fa parte, ed è ai vertici (membro del Consiglio Direttivo) della Outdoor Writers Association of America (Associazione Americana degli Scrittori di Vita all’Aria Aperta).
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Non avrei mai scritto questo articolo se un giorno non avessi ricevuto copia di una lettera di un socio della Federation of Fly Fishers (Federazione dei Pescatori alla Mosca), il quale protestava per aver appreso che la Federazione mi aveva premiato con l’Aldo Leopold Award (Premio Aldo Leopold) pur essendo io “un maledetto dipendente della National Audubon Society, un’associazione anti-pesca ed anti-caccia che si batte per far istituire aree protette marine chiuse alla pesca”. Scrivendo di problemi ambientali anche per riviste di caccia e pesca, ho spesso ricevuto valanghe di lettere di protesta, e anche meno cordiali, da parte di cacciatori e pescatori quasi sempre ignoranti dei problemi trattati. Purtroppo questo è segno della sconnessione esistente tra cacciatori* ed ecologisti. Ma c’è anche un rovescio della medaglia. Per esempio, a molti sono piaciuti i mie articoli in cui sostengo l’importanza di creare delle aree protette marine. Alcuni anni fa vennero proposte una serie di aree protette marine lungo la costa atlantica, da chiudersi ad ogni forma di pesca. Questo, a dispetto del fatto che la pesca sportiva sia comunque meno distruttiva della pesca commerciale. I pescatori sportivi, i biologi marini e gli industriali della pesca, inorridirono. Nel frattempo l’Ocean Conservancy (organizzazione per la protezione del mare) stava lanciando il suo programma per una Ocean Wilderness Challenger (fattibilità di una conservazione di aree oceaniche come Wilderness), proponente che «almeno il 5% delle acque territoriali degli Stati Uniti fossero designate Wilderness». Il novanta per cento dei pescasportivi pratica sull’1 per cento di queste acque, nei pressi delle coste. La proposta fu ritenuta buona fino a quando non fu spiegato che, al contrario delle Aree Wilderness terrestri, quelle oceaniche sarebbero state chiuse alla pesca, confermando quindi quello che da lungo tempo gli industriali della pesca dicevano loro: che le Wilderness sarebbero state riservate ai soli pesci e chiuse a chiunque altro. Le organizzazioni ambientaliste leader nella protezione delle risorse marine stanno ora lavorando con impegno nell’educare i pescasportivi all’idea delle aree protette marine, ma il futuro di queste iniziative rimane in dubbio. Mentre la Audubon non si è occupata di questa polemica, molti dei suoi soci sì (questo è lo scotto che le grandi organizzazioni pagano alle loro origini). I cacciatori ed i pescatori però non hanno mai capito questo. La loro paranoia, che ha origini nella disapprovazione generale per gli sport cruenti, permette loro di essere facilmente manipolati da chi ha interessi particolari. 47 milioni di americani sono cacciatori e/o pescatori, una forza finanziaria e politica al pari di quella della federazione degli sportivi di football, che potrebbe favorire le posizioni ambientaliste. Così uno è portato a pensare che la comunità degli ambientalisti si fa del male da sola. Ma così facendo perde solo delle opportunità. «Gli ambientalisti non dovrebbero essere divisi dai cacciatori», sostiene un esperto di campagne elettorali che con la sua società (Potholm Group) ha ottenuto la vittoria di 60 referendum ambientalistici in 30 Stati. Ogni volta ha dovuto lottare per mettere assieme gli ambientalisti ed i cacciatori, e secondo lui mettendoli assieme si ottiene una forza politica del 65 per cento della popolazione – «un autotreno politico assolutamente irresistibile, capace di vincere ovunque», egli ha detto. Per esempio, gli ecologisti sono uniti nella loro campagna (da alcuni ritenuta anti-ambientalista) a favore del controllo della popolazione di Coyote nel Maine, cosa condivisa anche dalle associazioni dei cacciatori, ma questo non significa che combattano assieme per raggiungere lo stesso obiettivo. Cinque anni fa, grazie in parte alla società del suddetto esperto di campagne elettorali, essi si unirono, e fu vinto un ballottaggio che consentì allo Stato del Maine di stanziare 50 milioni di dollari per l’acquisto, a scopo di conservazione, di terre selvagge. Quando la sua società fece un suo primo sondaggio in merito all’esito del voto, soltanto il 38% della popolazione era favorevole. Dopo la loro unione ed una brillante campagna pubblicitaria televisiva, il referendum fu vinto col 69% dei voti. Nel 2003 le tribù pellerossa dei Passamaquoddy e Penobscot tentarono, mediante un referendum statale, di realizzare un enorme complesso con sale da gioco ed altre simili iniziative, tale da fare invidia a Las Vegas (si parlava di un Casinò con migliaia di slot-machines e 180 tavoli da gioco, un albergo da 875 camere ed un teatro per 2.000 posti a sedere, un centro congressi, un campo da golf e 10 nightclub e ristoranti!), in una quieta cittadina del Maine, al centro di una zona di grande ricchezza faunistica e forestale. Praticamente il Maine avrebbe subito un’influenza negativa sulla propria reputazione di Stato ricco di natura selvaggia e di quiete. Di solito nulla si ottiene nel Maine, se ti metti contro gli indiani. Una ditta di vestiario ed equipaggiamento per la vita all’aria aperta decise comunque di lanciare una campagna contro il progetto voluto dagli indiani. Un sondaggio dava due ad uno la possibilità di realizzare il Casinò. Con l’aiuto del Potholm Group fu formata una coalizione tra ambientalisti e cacciatori. L’organizzazione che sosteneva il Casinò spese 6,8 milioni di dollari per la sua campagna, contro i soli 2,7 milioni della coalizione contraria. Nonostante ciò l’alleanza tra cacciatori e ambientalisti fu imbattibile. Quando si tenne il referendum statale il risultato della votazione li vide vincenti due a uno! «Forse il miglior esempio di quello che i cacciatori e gli ambientalisti possono riuscire ad ottenere quando si uniscono, è la Cooperative Alliance for Refuge Enhancement (Alleanza Cooperativa per il miglioramento dei Rifugi Faunistici)», ha dichiarato uno della Audubon Society addetto alle relazioni col governo degli Stati Uniti. Questo gruppo di 20 organizzazioni ha un unico scopo: assicurare finanziamenti federali a sostegno del National Wildlife Refuge System (Sistema dei Rifugi Faunistici Nazionali). Tra i suoi membri figurano organismi ed associazioni con diverse e divergenti visioni filosofiche, come ad esempio la Ducks Unlimited, Defenders of Wildlife, National Audubon Society, Wilderness Society e International Association of Fish and Wildlife Agencies, ma le questioni di conflittualità non hanno creato alcun problema alla coalizione. La Cooperativa ha fatto una tremenda differenza nel rapporto col governo, ottenendo un aumento di stanziamenti a favore dei Rifugi Faunistici dai 178 milioni di dollari del 1997 ai 391 milioni del 2004. Purtroppo, il più grande ostacolo per gli ambientalisti che cercano un’alleanza con i cacciatori sono le riviste di pesca sportiva e di caccia. Quello di cui già si lamentava Aldo Leopold più di 50 anni fa è più vero oggi che allora: «Il cacciatore non ha dei leader che gli dicano cosa sia sbagliato. La stampa venatoria non sempre rappresenta i cacciatori, essa si fa solo portavoce di argomenti per consumatori». I proprietari di alcune riviste di caccia e pesca non solamente pubblicano inserzioni pubblicitarie e argomenti per consumatori, sono essi stessi dei consumatori. Per ogni pubblicazione, come ad esempio Field & Strem – la quale, dopo un cambio di direzione, ha recentemente deciso di pubblicare articoli onesti su argomenti concreti – ce ne sono una mezza dozzina che divulgano disinformazioni, facendo aumentare la paura dei lettori verso gli ambientalisti. Prendiamo ad esempio l’Outdoor Life (Vita all’Aria Aperta) del deputato Don Young. Nessun membro del Congresso lavora così duramente contro i cacciatori e pescatori di lui. Non solo egli si rifiuta di collaborare con gli ambientalisti, ma li definisce «i suoi nemici», «non americani», ed «egoisti, cenciosi-marciatori, graduati di Harward, idioti intellettuali». E non perde mai occasione di sfotterli sulle pagine della sua rivista. Purtroppo, pochi cacciatori leggono riviste come Audubon e Sierra, pubblicate da associazioni che, si sostiene, sarebbero oppositrici della caccia. Nel quarto di secolo da che sono iscritto all’Audubon Society, io ho lavorato senza sosta per reclutare cacciatori. Sia l’Associazione sia la rivista hanno costantemente appoggiato la caccia; difatti, io sono stato incaricato di promuoverla, anche di recente (Marzo del 2002) in un articolo intitolato «Wanted: C’è bisogno di più cacciatori», dedicato al problema dell’esplosione delle popolazioni di cervi e del danno che arrecano alle foreste. Nello stesso numero, l’editorialista riassunse così il mio punto di vista principale: «Cosa c’è di deplorevole nel fatto che un animale innocente venga ucciso per sostenere una causa conservazionista? E’ forse meglio, in primavera, avere delle foreste silenti e sterili, prive di uccelli canori e di fiori selvatici?». Il Sierra Club ha lanciato una campagna simile nel 1996, quando mi incaricò di scrivere un articolo intitolato “Gli alleati naturali”. Quattro anni fa il Club divenne un “socio sostenitore” dell’Associazione americana degli scrittori di vita all’aria aperta (OWAA), che riunisce 2.000 dei più eminenti scrittori ed editori di caccia e pesca. Il mio articolo aveva lo scopo di lanciare una campagna di collaborazione con il Sierra Club. Una campagna che ha avuto ovunque successo. Per esempio, nel Sud Dakota il Sierra Club ha richiesto l’appoggio a 17 club federati di cacciatori e pescatori affinché facessero pressioni politiche in favore della designazione di un’Area Wilderness di 28.000 ettari nella prateria demaniale nota come Buffalo Gap. Quando ho chiesto al direttore della federazione perché i membri dei suoi club di cacciatori fossero favorevoli all’Area Wilderness visto che molti altri non lo erano, lui mi rispose: «perché molti di noi comprendono che alcuni luoghi devono essere tutelati e soggetti ad alcune restrizioni. Noi vogliamo che queste nostre ultime frontiere siano salvate». Quando alla conferenza nazionale dell’OWAA, tenuta nel giugno del 2004, il Sierra Club presentò e distribuì ai partecipanti il mio articolo “Alleati naturali”, ci fu una “standing ovation” da parte dei 700 partecipanti (è sintomatico il fatto che a distanza di otto anni dalla sua pubblicazione, io abbia ricevuto una sola lettera di critica). Durante la presentazione, il presidente della National Rifle Association (NRA), se l’è presa con tutti quelli che ce l’hanno con i cacciatori e con l’amministrazione Clinton che avrebbe loro sottratto “milioni di ettari” (smentito però da un dirigente del Servizio Forestale, che lo ha sfidato a portare l’esempio di un solo ettaro che sia stato chiuso alla caccia). In realtà quello che lo aveva fatto arrabbiare era il mio articolo, definito un «messaggio elettorale a favore di candidati contrari alla caccia». Io non mi sono mai considerato un anti-caccia. Possiedo sei fucili, due carabine e due pistole; sono un appassionato cacciatore e tiratore, e possiedo una licenza di porto d’armi di più alto livello (classe A) che mi consente anche di tenere munizioni non registrate. Né ho mai attaccato membri del Congresso appartenenti alla National Rifle Association. Quello che io ho scritto sono stati solamente fatti che illustravano come facilmente i cacciatori si fanno sedurre dai loro peggior nemici interni. Ed anzi, il mio editore mi chiese di divulgare l’enorme contributo che i cacciatori hanno dato alla conservazione; cosa che ho fatto evidenziando con lunghi paragrafi come i cacciatori abbiano contribuito alla formazione del National Wildlife Refuge System, abbiano eliminato la caccia a fini commerciali, abbiano ripristinato popolazioni di migratori acquatici, di wapiti, di cervi, di antilocapre e di tacchini selvatici. Dubito che molti del Sierra Club siano così tanto armati come lo sono io, ma non c’è alcuna evidenza del fatto che essi possano essere anticaccia. Per esempio, il coordinatore degli accompagnatori degli escursionisti cacciatori mi ha detto: «Se non lavorassimo con i gruppi di cacciatori e pescatori, non avremmo nulla da fare. Noi accettiamo la caccia e la pesca, e non abbiamo nessuna preclusione alle armi. Infatti, la nostra neutralità sul problema delle armi nel 2002 ci ha permesso di sostenere più di una dozzina di candidati al Congresso che avevano a che fare con la National Rifle Association». Per cui, come mai tutto questa opposizione da parte della NRA? Nonostante la sua partecipazione ai circoli di conservazione ed il suo inserimento nel “Conservation Directory” (Albo del conservazionismo) della National Wildlife Federation (Federazione Nazionale per la Fauna Selvatica), la NRA non ha nulla a che fare con la conservazione. Infatti, essa è sempre stata dalla parte sbagliata in ogni grande sfida di conservazione, dal sostegno alla legge per la tutela dell’Alaska (40 milioni di ettari poi tutelati! n.d.t.), al divieto di utilizzare il piombo per la caccia agli acquatici, al regolamento per mantenere delle aree prive di strade (23 milioni di ettari! n.d.t.), sostenuta dall’84% dei cacciatori americani. La National Rifle Association è effettivamente una di quelle che semina zizzania tra i cacciatori e gli ambientalisti. Se i cacciatori si avvicinano troppo alla comunità ambientalista ecco che cominciano a temere di esserne fagocitati. «Circa tra i 12 e 15 milioni di cacciatori americani non sono membri della National Rifle Association, e questo non è certo il momento per loro di cambiare idea. Oggi più che mai un cacciatore che non sia anche ambientalista è un pazzo», ha scritto un giornale. Durante la conferenza dell’OWAA, 430 membri sottoscrissero una lettera di protesta contro la posizione della RNA, chiedendo che il Consiglio direttivo esprimesse il suo disappunto per le dichiarazioni di un loro autorevole membro non favorevole ad un rapporto di collaborazione tra cacciatori ed ambientalisti. Ma non se ne fece nulla. Ciò ha creato una grande fermento tra i membri dell’OWAA in merito alla posizione da prendere a seguito del mio articolo per il Sierra Club ed alle dichiarazioni di quelli non favorevoli ad un rapporto cacciatori-ambientalisti, tanto che per protesta alcuni autorevoli membri si sono anche dimessi. Addirittura c’è stata una rivista che ha espressamente dichiarato che non accetterà più manoscritti e/o fotografie dai membri dell’OWAA per non avere questa voluto chiedere scusa alla National Rifle Association per le critiche fattegli, e per non aver rotto i rapporti con il Sierra Club. A questo punto sono gli ambientalisti che si devono chiedere: ma i cacciatori che si oppongono ad una collaborazione, sono migliori di noi? Io non credo che la risposta sia sì, ma certamente riconosco che loro sono politicamente assai più astuti. Occorre una strategia per livellare il campo. Primo, lasciare fuori le proprie idee personali. Può essere giusto detestare gli sport cruenti; e può anche essere giusto detestare chi pratica questi sport. Ma non è giusto sacrificare specie faunistiche per fare delle scelte politiche. E’ già pieno di nemici veri dell’ambiente senza che ci sia il bisogno di crearne di nuovi. Chi vuole veramente salvaguardare e ripristinare la fauna, chi ritiene che nessuna specie di selvaggina sia minacciata e che molte di esse siano anzi aiutate dalle leggi che regolamentano la caccia e la pesca e che un potente spietato interesse speciale dipenda e perpetui la barriera tra gli ambientalisti ed i cacciatori, sia il benvenuto. Secondo, come la NRA ci ha insegnato, le alleanze dipendono dalla comunicazione. Dove ognuno di noi vive ci sono certamente delle associazioni di cacciatori e pescatori o qualche sezione della Ducks Unlimited (Ditta per la crescita delle popolazioni di anatre selvatiche). Frequentatele, anche se non siete cacciatori o pescatori, e spiegate loro che li volete aiutare a proteggere l’habitat della fauna. Tenete presente che non si può ripristinare o creare una palude per le anatre (che è quello che la Ducks Unlimited fa) senza creare anche dei benefici per migliaia di altre creature, dalle lontre allo scricciolo di palude, dalle avocette alle tartarughe. Se non esiste un buon progetto al quale potete collaborare, proponetene uno voi. La vostra partecipazione ed appoggio colpirà profondamente i membri di quelle associazioni, perché essi non vi amano e non vi apprezzano e gli è stato ripetutamente detto che gli ambientalisti e gli animalisti-zeloti sono la stessa cosa. Infine, ecco un esempio di come certe opposizioni alla caccia sono spesso più animalistiche che conservazionistiche, ed andrebbero pertanto lasciate alle associazioni animaliste anziché fatte proprie anche da quelle ambientaliste. Nel 1996 nel Massachusetts fu portata avanti una battaglia congiunta per proibire l’uso delle trappole per la caccia ai castori, in quanto ritenute crudeli; un problema più animalista che non di gestione faunistica. Ebbene, le trappole vennero infine proibite. Da allora la popolazioni di castori è aumentata da 18.000 capi a 70.000. Oggi esistono gravi problemi di alluvioni per strade e cantine; così le autorità sono costrette a far catturare i castori con delle trappole più “umane” che li immobilizzano per tutta la notte affinché vengano poi uccisi a bastonate al mattino. Praticamente una risorsa è stata convertita in una peste.
di TED WILLIAMS
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