Una slavina nel Parco Nazionale del Pollino come esempio negativo di una politica ambientale e conservazionista che troppo spesso trova applicazione nei Parchi Nazionali d’Italia.
Quello che molti temevano è capitato. Come dalle mie parti tanti ricordano, lo scorso inverno si scatenò una valanga sulla Serra del Prete, nel Parco Nazionale del Pollino, la quale sradicò moltissimi faggi. Chi scrive ebbe la fortuna di fare un’escursione proprio nella zona sottostante, dalla base della slavina dove si erano accumulati i tronchi, fino in cima, passando dal canalone in cui era partita. L’esperienza fu emozionante, perché ciò che vedevo coi miei occhi era uno spettacolo delle forze della natura, di quella natura selvaggia, inviolata e inarrestabile. La valanga di Serra del Prete era un evento che aveva entusiasmato un po’ tutti gli appassionati del Pollino. Era bello pensare che nessuno l’avrebbe toccata e che la natura almeno là avrebbe avuto il suo corso… Ma il timore (almeno parlo per me) era che la valanga fosse l’occasione per spingere qualcuno ad andare a tirare fuori la legna accumulata, visto che, a quanto pare, almeno una parte della faggeta di Serra del Prete ricade su suoli privati. Così purtroppo è stato. Recuperando quella legna ci stanno togliendo ancora una volta un po’ di quell’entusiasmo e di quelle emozioni che la slavina aveva suscitato, soprattutto in noi giovani escursionisti.
Se la ruspa oggi raggiunge le pendici di Serra del Prete a poco meno di duemila metri di quota, per tagliare un bosco spettacolare di faggi, o anche per il solo motivo di recuperare il legname caduto a seguito della valanga dello scorso inverno, allora vuole dire che qualcosa non funziona nella macchina amministrativa e nelle norme di salvaguardia che dovrebbero tutelare un’area di estremo interesse naturalistico, paesaggistico ed ecologico. Addirittura l’area è tappezzata da cartelli che indicano che si tratta di una proprietà privata e quindi è sacrosanto che il possidente faccia quello che vuole nel suo terreno. Dimentichiamo, però, un particolare: questa proprietà è in un Parco Nazionale e in una zona di massimo valore ambientale, in una parola è l’essenza del parco. E invece, cosa hanno fatto i dirigenti del Parco Nazionale? Hanno autorizzato – seppur con prescrizioni – il recupero del legnatico… e per fare quest’operazione hanno dovuto, ovviamente, autorizzare anche il ripristino della vecchia pista forestale e quindi dare via libera alle ruspe…
Secondo me, l’Ente Parco avrebbe dovuto invece acquistare questa proprietà o magari anche stipulare un contratto d’affitto, o trovare altre soluzioni, indennizzando i proprietari e tutelando così una delle aree naturalisticamente più importanti del Pollino; aree che dovrebbero essere preservate così come sono, lasciandole forever wild. Il fine prioritario di un Parco Nazionale dovrebbe essere la conservazione della natura… o almeno una delle finalità prioritarie, in un contesto italiano che purtroppo vede i parchi ormai alla stregua di agenzie di “Sviluppo Economico” (e, nell’ambito di un’ideologia che valuta gli ambienti naturali, solo in termini utilitaristici, o meglio, economici). La scusa che probabilmente verrà utilizzata è che i parchi non hanno soldi… La questione però, a mio modo di vedere, è questa: per altre cose i soldi si trovano sempre, per fare conservazione non si trovano mai! I dirigenti del Parco avrebbero potuto chiedere uno storno alla Regione Basilicata e utilizzare i denari che servirebbero per collocare le “uova” dell’artista Nils Udo a Casa del Conte o quelli che stanno per essere investiti per un “megapolifunzionale” dal costo di due milioni di euro a Campo Tenese, con la logica conseguenza che non avremmo deturpato un posto bellissimo ed avremmo impiegato del denaro pubblico in una vera e propria azione di salvaguardia di un pezzo del Pollino: primo obiettivo da raggiungere per coloro che dirigono un’area protetta.
Questo “disastro ambientale” poteva divenire un luogo interessante per gli studiosi che si occupano di fenomeni connessi a valanghe e smottamenti, un luogo in cui le Guide ufficiali potevano anche portare i visitatori, divenendo una meta escursionistica originale per tanti turisti; poteva essere anche un luogo per studiare le conseguenze sulla fauna (anche microfauna) e sulla dinamica dell’ecosistema per zone di simili disastri. E invece cosa si è fatto? Si sono autorizzate le ruspe!
Fatti del genere spingono a riflettere sullo smarrimento del senso e della funzione degli Enti Parco, che dovrebbero avere come obiettivo prioritario, ripetiamolo, la tutela e la conservazione degli habitat.
di Saverio De Marco
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