Ora è la Corte suprema dell’India a dirlo. Basta turismo nelle aree selvagge dove vive la grande fauna a rischio di estinzione. Un Esempio che il Parco Nazionale d’Abruzzo prima di tanti altri dovrebbe fare proprio, se vuole veramente salvare l’Orso marsicano. Perché non crediamo che vi sia grande differenza tra la Tigre e l’Orso marsicano, o tra l’Orso marsicano ed il Grizzly.
L’esempio dei Salish e dei Kootenay è ormai noto e non merita essere ancora descritto, ma quello dell’India sì. E’ di questi mesi la notizia, diffusa via Internet, del provvedimento con il quale la Corte Suprema dell’India ha drasticamente imposto ai gestori di Parchi Nazionali ed altre aree protette indiane in cui sopravvive la Tigre, di chiudere al turismo in modo assoluto le “core areas” (ovvero le parti centrali delle Riserve, quelle più protette e selvagge). Una Corte che è arrivata là dove i politici (gli Stati) ed i manager non hanno voluto o saputo giungere! Forse, come i nostri, sollecitati anch’essi dalla politica (non dimentichiamoci che è la politica che condiziona le nomine ai loro vertici!) a pensare piuttosto al turismo che non alla protezione di una specie a rischio di estinzione (dal turismo minacciata tanto quanto la minacciano i bracconieri, non poco volte questi ultimi favoriti proprio dal turismo per il disturbo che arreca).
Inutile dilungarsi. Ci limitiamo a riportare le parti più salienti di quanto corre sul web:
«La Corte Suprema dell’India ha vietato il turismo nelle “core zones” di oltre 40 riserve per le tigri gestite dal governo. Si tratta di una sentenza storica, che prende atto che gli Stati indiani non riescono ad applicare le leggi, a far rispettare i divieti ed a comminare multe. La Corte ha inflitto ammende simboliche da 10.000 rupie ciascuno (178 dollari) a 6 Stati colpevoli di non aver rispettato le sue precedenti direttive per la protezione delle tigri, il cui numero in India si è ridotto in modo allarmante negli ultimi decenni: un censimento del 2011 ne aveva contate circa 1,700 allo stato selvatico, un secolo fa erano 100.000.
«Esultano le associazioni ambientaliste che vedono nella sentenza un significativo passo avanti. La Corte Suprema indiana è stata chiamata a pronunciarsi in seguito ad un esposto presentato dall’ambientalista Ajay Dubey che chiedeva di vietare le attività turistiche commerciali dalle core zones e dagli habitat più vulnerabili delle riserve delle tigri.»
E pensare che alcuni anni or sono il Parco Nazionale d’Abruzzo, che evidentemente allora aveva soldi da spendere inviò un’equipe in missione in Cina per insegnare ai cinesi come proteggere il Panda (pur non avendo ancora saputo sottrarre al rischio di estinzione uno degli animali che dal 1923 aveva il mandato di proteggere!); e prima ancora ci furono i viaggi negli USA per un discutibile gemellaggio con uno storico Parco Statale (Adirondack), assai meglio gestito di un qualsiasi Parco Nazionale italiano, e per coordinare un proprio ufficio di rappresentanza a New York! Poi ci fu il Parco del Gran Sasso-Laga che inviò una missione in Congo (per insegnare a salvare i Gorilla?). Poi ancora il Parco del Pollino che corse voce fosse addirittura andato ai mondiali di calcio del Sudafrica ed alle “alte quote” di uno dei più vecchi Parchi Nazionali del mondo (il Kruger). Tutte missioni aventi lo scopo di andare ad insegnare piuttosto che ad imparare. Ora è il terzo mondo che insegna a noi. Speriamo che qualcuno gli dia retta. Non è la solita disprezzata America: è l’anglofila India a dirlo, la terra di Gandhi (pace, libertà, democrazia, disubbidienza civile, tolleranza). L’India forse avrà maggiori credenziali per essere ascoltata. Intanto, purtroppo, mentre le associazioni ambientaliste indiane plaudono all’iniziativa della Corte Suprema, le associazioni ambientaliste italiane sono per lo più silenti sul problema dell’orso marsicano od affiancano le scelte delle autorità, quali esse siano. Mai una critica. Chissà, forse sbagliamo noi ad interessarci così tanto dell’Orso marsicano, a dare voce ad un animale che con l’uomo non può dialogare se non attraverso messaggi comportamentali che magari non tutti sanno capire.
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