Prima, a fare notizia, sono state le aggressioni all’uomo: Forca d’Acero, nel Parco d’Abruzzo, e Val di Sole, nel Parco Adamello-Brenta. Ora è un aggressione ad armenti domestici. Lo scorso 27 giugno, un orso maschio è entrato in una stalla nei pressi del paese di Scanno (L’Aquila), prossimo al Parco Nazionale d’Abruzzo, massacrando ben 23 capre e 10 galline! Ma la colpa non è dell’orso, bensì dell’uomo! Innanzi tutto perché dopo averlo per millenni abituato a cibarsi dei prodotti della terra e dei pascoli, i primi coltivati (a grano, mais, ecc.) i secondi utilizzati per il pascolo di migliaia di pecore ed altri armenti, nel volgere di poche decine di anni il cambiamento avvenuto nella società rurale con il progressivo ma veloce abbandono dell’agricoltura e della pastorizia, ha spinto gli orsi a cercare sempre più vicino all’uomo (i paesi) quello che non trovano più nei campi e nei pascoli; ben conscio l’animale, grazie a quanto comportamentalmente acquisito da generazioni, che quel cibo era l’uomo che lo produceva o che glielo metteva a disposizione nei campi e nei pascoli. E di questo è colpa della Società, se colpa vogliamo definire il cambiamento sociale. Ma la colpa più grave è delle autorità del Parco Nazionale d’Abruzzo, perché, in quanto ente preposto alla protezione dell’orso marsicano e del suo habitat e, quindi, per logica, anche alla sua gestione, di questa gestione non si è mai occupato o se ne è occupato molto raramente, e più in passato che non negli ultimi e più drammatici e contingenti decenni! Peggio, si sono ostinati a pretendere, forti delle letture di manuali e testi sacri di biologia, che l’orso marsicano ritornasse a cibarsi di quelle risorse alimentari prodotte dal mondo naturale; e per farlo hanno deciso di non provvedere a subentrare artificialmente alla carenza di agricoltura e di pascolo, sostituendosi ai contadini e ai pastori sempre più raramente presenti ed attivi. Una colpa gravissima, segno di incompetenza e di una volontà sciagurata, perché ha spinto gli orsi marsicani ad allontanarsi sempre più dal territorio del Parco Nazionale, alla disperata ricerca di quello che nel suo antico mondo non trova più. Con una fenomeno emigratorio-dispersivo che, inizialmente indotto dal disturbo turistico è poi proseguito ed aumentato anche a causa della mancanza di cibo di origine antropogenico. Ma anche un altro aspetto e fatto ha contribuito alla strage: l’aver, sempre da parte anche delle autorità, favorito e indotto i pochi agricoltori e pastori rimasti, a rendere invalicabili i campi e gli stazzi, affinché l’orso non potesse penetrarvi. E ciò per il mero scopo di evitare di pagare i danni, e risparmiare così denaro: quel denaro che non si è risparmiato, ed anzi si è invece speso sprecato, in studi e ricerche più o meno inutili per l’orso! Ma certamente utile a chi ne usufruiva e ancora ne usufruisce! Ecco, è per quest’ultima motivazione che l’orso di Scanno, riuscito a superare la barriera invalicabile della stalla (attraverso il tetto?) penetratovi dentro e poi impossibilitato ad uscirne, ha fatto quello che mai gli orsi fanno quando assalgono gli stazzi in zone aperte: una strage di animali conseguenza del tentativo di uscire dalla “trappola” in cui si è infilato, e dalle stesse capre, terrorizzate dalla presenza dell’animale nella stalla. Come non ricordare il fatto simile successo nei lontani anni ’70 quando il Corpo Forestale volle rendere inaccessibile all’orso (lo scopo era sempre quello di evitare i danni da rimborsare!) uno stazzo nella Serra di Chiarano-Sparvera, realizzandovi attorno un alto muro in blocchetti di cemento. Purtroppo, riuscito l’orso a penetrarvi comunque, e non riuscendo poi ad uscirne, come oggi ha fatto quello di Scanno, sterminò quasi tutte le pecore (che, ammonticchiatesi contro il muro, gli consentirono così di uscirne)! Riflessione finale: se si spendessero meno soldi in studi, ricerche, ed opere di impedimento agli animali selvatici predatori (famigerate le recinzioni elettriche, per non dire dei pollai in lastre di metallo!) per evitare i danni, e si stanziassero invece i soldi per rimborsarli, certamente ad oggi lo Stato avrebbe risparmiato un bel po’ di milioni di euro, avrebbe favorito agricoltura e pastorizia (il che non sarebbe stato male per queste attività in declino, e per il turismo che ne gode di riflesso), e avrebbe favorito il permanere degli orsi nella storica area protetta. Questo, senza ignorare il fatto che, pur volendo almeno limitare i danni da rimborsarsi mediante i suddetti metodi nei casi di spontanea iniziativa (non con finanziamenti pubblici!), le autorità hanno sempre la possibilità di provvedere esse stesse sia alla semina dei campi (magari anche con qualche “Recinto Finamore”), sia al mantenimento di una pastorizia “pubblica” con pecore, appunto, di pubblica proprietà e, quindi, non rimborsabili nel caso di danni da aggressione di orsi o lupi. Ora, auguriamoci che a quel pastore di Scanno non ci si limiti a rifondere i danni diretti del costo delle capre a prezzo “concordato”, bensì a prezzo di mercato, e non solo, ma anche con il rimborso di TUTTI i danni indiretti subiti: mancata produzione di latte per il tempo necessario alla sostituzione delle capre; mancata riproduzione; spese necessarie per la riformazione del gregge. Ma succederà? O finirà per essere solo il pastore a dover pagare per un patrimonio culturale (l’Orso marsicano) che appartiene a tutta la collettività?
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Murialdo, 30 Giugno 2023 Franco Zunino
Segretario Generale AIW
(Primo ricercatore sul campo dell’Orso marsicano)
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