«Se consideriamo che i primi reattori nucleari hanno cominciato a produrre energia negli anni Sessanta, e che oggi ne sono in funzione 441, il livello di sicurezza di questi impianti è alto. Specialmente se lo paragoniamo, come vedremo, agli incidenti che hanno coinvolto altre fonti energetiche. Sulla radioattività ci sarebbe comunque da fare qualche altra precisazione.
«Solitamente si pensa che la radioattività sia qualcosa che riguarda le centrali nucleari, o magari le radiografie o le radioscopie, in realtà non è così perché siamo tutti immersi in un fondo naturale di radioattività, che proviene dal decadimento di elementi contenuti nella crosta terrestre e dai raggi cosmici che piovono dallo spazio. Ovviamente sono dosi molto basse, ma variano da luogo a luogo. A Roma per esempio il fondo naturale è il doppio che a Milano. Ci sono regioni della Terra, come in India e in Brasile, dove la radioattività è addirittura decine di volte quella media italiana (senza che siano state rilevati, statisticamente, aumenti di malattie tumorali). Le centrali nucleari in normale attività e i vari esami radiografici fanno aumentare solo di frazioni minime questo livello di base. E’ stato ad esempio calcolato che per un abitante della Valle d’Aosta (zona a bassa radioattività naturale) vivere qualche mese in provincia di Viterbo (ad alto fondo naturale) comporterebbe una dose media di radioattività più alta di quella proveniente dalla nube di Chernobyl. E, a proposito di radioattività, siamo stati testimoni di un curioso episodio mentre realizzavano lo speciale su Chernobyl per SuperQuark.
«Per sicurezza, tutta la troupe impegnata nelle riprese è stata dotata di un dosimetro, cioè di un apparecchio in grado di misurare le radiazioni assorbite. Poiché per le riprese dovevamo entrare nella zona interdetta, cioè entro i 30 km dalla centrale, ci è sembrata una precauzione necessaria. Infatti non solo abbiamo visitato, è “girato”, la cittadina di Pripjat, la più vicina alla centrale, ma ci siamo anche avvicinati a meno di 100 metri dal “sarcofago”, dove sono rinchiuse le rovine radioattive del disastro nucleare. Ebbene, prima di partire, il direttore della fotografia, oltre al dosimetro da portare addosso, se ne era fatto consegnare un altro, che aveva lasciato nella sua abitazione di Roma. Sorpresa. Quando al ritorno siamo andati a leggere i dosimetri, quello rimasto a Roma aveva registrato una dose di radiazioni maggiore di quello che avevamo indossato per tutto il viaggio nella zona interdetta e nella visita alla centrale di Chernobyl. Almeno, dalla nostra piccola esperienza, vivere a Roma comporta una dose di radiazioni più alta di quella assorbita nella zona attorno a Chernobyl.
«Ma forse c’è una ragione particolare che fa temere la radioattività più di certe sostanze che possono provocare anch’esse tumori, il fatto è che gli strumenti che per misurare la radioattività sono incredibilmente sensibili e precisi. Possono individuare un elemento radioattivo in concentrazioni piccolissime. Cioè possono rilevare la presenza di un millesimo di miliardesimo di milligrammo in un metro cubo d’aria e identificare, grazie al tipo di radiazione, anche l’elemento. Altre sostanze che possono provocare il cancro, vengono invece prodotte a migliaia nei più svariati processi chimici e industriali e spesso non sono nemmeno ben conosciute e analizzate. Per queste sostanze, però, non esistano strumenti di misurazione così precisi, e quindi non si ha una percezione altrettanto sensibile della loro pericolosità. In un certo senso la conoscenza esalta il pericolo, la non conoscenza lo riduce. Questa maggiore sensibilità si riflette anche nella percezione degli incidenti. Un incidente, anche piccolo, che avviene in una centrale nucleare fa notizia, e verrà sempre ricordato. Mentre fanno molto meno notizia incidenti, anche gravi, legati ad altre fonti energetiche.»
Murialdo, 16 Agosto 2022
Franco Zunino
Segretario Generale AIW
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