Il “Selvatico” di quest’articolo è un archetipo, un’immagine-sentimento che sta racchiuso in alcuni uomini, quelli che si pongono domande e fanno riflessioni sull’antico rapporto col mondo della Natura e ne vanno alla ricerca delle radici. Il Selvatico di cui parla l’autore, membro dell’associazione “Maschi Selvatici” ispirata al noto psicoterapeuta e giornalista Claudio Risé, si concretizza nel momento in cui l’uomo si pone il problema delle sue origini. 

Nel termine “Wilderness” è compresa una complessità concettuale non facilmente traducibile in un termine italiano equivalente; ciò che più si avvicina potrebbe essere “terra selvaggia” “terra vergine” che, tuttavia, rendono solo un’immagine del luogo ma non la relazione che si stabilisce fra la natura selvaggia e l’uomo. Pertanto è rimasto questo termine nella lingua italiana, non solo in omaggio alla sua origine statunitense dove è stato concepito e si è sviluppato il movimento ad esso relativo, per designare l’esperienza fatta in solitudine e in rispettoso silenzio di luoghi selvaggi, o per lo meno dove i segni di antropizzazione sono minimi, con l’emozione di stupore di fronte alla scoperta e alla risonanza interiore con il luogo selvaggio.
Emozione che, nelle parole di Sigurd Olson, un pioniere della wilderness(1899-1992), potrebbe essere espressa come Singing wilderness, “la wilderness cantante” un concetto che non è facile spiegare a parole ma che si può solo sentire in alcune situazioni, quando si ascolta il rumore del vento o il canto degli uccelli al mattino o lo scrosciare dei torrenti di montagna ingrossati dallo sciogliersi della neve delle vette, o ancora il grido dell’aquila imperiale…”.
Una definizione di wilderness che sintetizza la relazione dell’uomo con il luogo compare nel motto didascalico del logo dell’A.I.W, Associazione Italiana Wilderness: “La wilderness è sia un luogo geografico che uno stato d’animo.”
Il motto è tratto, a sua volta, da una pubblicazione del Corpo Forestale USA dedicato al problema della protezione della natura selvaggia dal titolo “Search of Solitude”, la ricerca della solitudine che recita integralmente: “La natura selvaggia è sia una condizione geografica che uno stato d’animo. Fa parte dell’eterna ricerca della verità che spinge l’uomo alla continua ricerca di se stesso e del suo creatore”. In termini più impliciti si esprime ancora Sigurd Olson: “La wilderness è molto più di laghi, fiumi e boschi lungo le rive, molto più del pescare e del campeggiare. Essa è il senso del primitivo, dello spazio, della solitudine, del silenzio e dell’eterno mistero”. Le espressioni riportate sono sufficienti, a mio avviso, a richiamare la dimensione spirituale evocata dall’incontro con la natura selvaggia e a caratterizzare la Via interiore alla Natura. La complessità dello stato d’animo dell’incontro con la natura selvaggia apre ad un altro stato d’animo, quello del rispetto della natura che ha un valore in sé e questo sentimento porta conseguentemente alla necessità e all’impegno di preservare e tutelare i luoghi della natura selvaggia.
Pertanto alla base del concetto di Wilderness e della filosofia che esprime vi stanno: uno stato d’animo complesso fatto di risonanze spirituali, un sentimento di rispetto per il valore della natura selvaggia e l’assunzione di un impegno per la tutela della sua preservazione.
E’ nell’ordine delle cose che le persone che vivono la Wilderness nel suo giusto spirito prima o poi per risonanza si riuniscano. Così è stato per la Wilderness Society americana che è stata influenzata dal pensiero filosofico che va da Henry Thoreau a John Muir (di cui si citano rispettivamente due espressioni rappresentative del loro pensiero: “Io venni nei boschi perché desideravo vivere intenzionalmente, avendo di fronte solamente i fatti essenziali della vita, e vedere se mi era possibile imparare quello che volevo insegnare; e non quando morirò, scoprire di non aver vissuto”, “scala le montagne e raggiungi le loro buone cose. La pace della natura scenderà sopra di te come il tramonto scende tra gli alberi. I venti soffieranno la loro frescura in te, e i ruscelli la loro energia, mentre le tue preoccupazioni verranno scaraventate via come le foglie d’autunno”) e che si è costituita nel 1935. Tra i suoi pionieri vi è Aldo Leopold, in primis, biologo funzionario del Servizio Forestale degli Stati Uniti d’America, nonché cacciatore, giunto a concepire attraverso le sue esperienze vissute e riflessioni un’Etica della Terra che ha divulgato in molti suo scritti che è ora diventata patrimonio comune: rispetto per l’ambiente, convivenza, equilibrio, uso razionale delle risorse… e a promuovere e far realizzare la prima area wilderness la “Gila Wilderness Area” nel New Mexico già nel 1924, passato alla storia come il massimo teorizzatore dell’ambientalismo e del conservazionismo; e poi Bob Marshall ed altri ancora.
In Italia l’Associazione Italiana per la Wilderness venne fondata dopo quattro anni di attività preparatoria fatta attraverso l’iniziativa dei “Documenti Wilderness”, un’attività tra l’epistolare e l’editoriale promossa e coordinata da Franco Zunino, la quale aveva lo scopo di diffondere in Italia le prime conoscenze del “Concetto di Wilderness” e della filosofia ad esso relativa.
La filosofia “Wilderness” ritiene che la natura vada conservata in quanto valore per sé, e considera questo valore un patrimonio spirituale per l’uomo per ciò che esso esprime, a livello interiore, in ogni individuo. Il Concetto di Wilderness ha una profonda implicazione protezionistica, significando un vincolo duraturo nel tempo con il massimo di garanzie che la società possa dare.
Tutto ciò per dire che senza la natura selvaggia anche il Selvatico rischia di diventare asfittico.
Che rapporto ha, infatti, il Selvatico con la Natura Selvaggia? Si riconosce in essa, ne è una diretta espressione? D’impulso si sarebbe portati a rispondere di si: il Selvatico è la diretta espressione della Natura Selvaggia da cui è stato figliato. Ma se così fosse chi ne sarebbe il padre? Il padre si potrebbe rispondere è l’Uomo ed il Selvatico in quanto archetipo è l’espressione della naturalità dell’uomo ma anche dei suoi sforzi per affrancarsi dallo stato di necessità della Natura. Di fatto il Selvatico è colui che insegna ai montanari a fare il formaggio, pertanto il portatore di una tradizione, ma anche colui che non deve stare troppo a lungo nelle comunità perché altrimenti gli bruciano il culo; in definitiva deve costituire un costante richiamo all’origine ma solo per promuovere lo sviluppo umano. Pertanto il Selvatico non si identifica con la Natura Selvaggia ma vive nella zona limite dove si sviluppa l’umano. In quanto borderline il Selvatico si attiva anche nelle zone urbanizzate laddove vi è un richiamo che evidenzia la forza della natura selvaggia a riprendersi i propri spazi.
Questo concetto era stato chiaramente espresso da Claudio Risè nel libro-fondamento: “Maschio Selvatico”, che a proposito del Luogo dell’incontro selvatico così si esprime: “L’Uomo incontra il selvatico in uno spazio iniziatico che produce cioè un cambiamento in chi lo attraversa. Anche per questo nella letteratura che lo descrive, il luogo selvatico si trova su un limite, un confine tra il mondo precedente, delle condizioni e convenzioni abituali, e lo spazio propriamente selvaggio dove non è visibile la presenza dell’uomo” (pag 114 I° Edizione Red-1993, primo paragrafo del sottocapitolo “Il luogo dell’incontro selvatico” al capitolo “Il primo incontro: l’adolescenza”).

Da quanto sopra si evince che la conservazione della natura selvaggia è la condizione fondamentale perché l’uomo possa continuare a vivere la Wilderness, di cui l’archetipo del “Selvatico”, depositario di tutta le esperienze dell’uomo nel corso della storia, è la forza arcaica promotrice.

di Michele De Toma

28 agosto 2012

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7 agosto 2012

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